L’incontro oggi tra il papa e il vicepresidente Usa racconta qualcosa dei rapporti tra Santa sede e Stati Uniti. L’auspicio di superamento delle devastanti guerre in atto può essere una base sulla quale capirsi, importante per Washington come per il Vaticano. La riflessione di Riccardo Cristiano
Prove di dialogo tra Stati Uniti e Santa Sede. La partecipazione del vice presidente americano, Vance e del Segretario di Stato, Rubio, alla messa di intronizzazione di papa Leone XIV e i successivi colloqui in Vaticano, con il papa stesso e con la Segreteria di Stato, indicano la volontà statunitense di cercare qualcosa che riduca le distanze, soprattutto sui temi della pace, visto l’impegno americano in Medio Oriente e in Ucraina.
Puntare sul fatto che Leone sia il primo papa americano può aiutare a capire l’importanza per Washington del passo compiuto, ma va tenuto conto che Leone è anche cittadino peruviano, è stato vescovo in quel Paese per decenni ed ha espressamente e ripetutamente polemizzato, prima di diventare papa, proprio con il vice cattolico di Trump, cioè con il Vance che oggi ha ricevuto, dopo averlo brevissimamente salutato dopo la messa di domenica.
Ma la pace è una priorità per il Vaticano, indiscutibilmente. Se è il prodotto di un negoziato tra le parti è ciò che va incontro agli auspici del Vaticano. Dunque nulla stupisce, né modifica rispetto al recente passato, visto che Vance fu brevemente salutato da papa Francesco e discusse con la Segreteria di Stato durante la precedente visita romana, nei giorni precedenti la morte di Francesco.
Allora per capire cosa accada è bene partire dal testo ufficiale diramato dal Vaticano: “Nel corso dei cordiali colloqui in Segreteria di Stato si è rinnovato il compiacimento per le buone relazioni bilaterali e ci si è soffermati sulla collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, come pure su alcune questioni di speciale rilevanza per la vita ecclesiale e la libertà religiosa. Infine, si è avuto uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte”.
Dunque la prima parte ci dice che non tutto va liscio, mentre la seconda ci ricorda quali sono i criteri da seguire, secondo il Vaticano, per lavorare bene per la pace: diritto umanitario, diritto internazionale e negoziato. Nella prima parte è chiaramente indicato che ci sono altri problemi, interni all’America. Non si chiarisce quali, va detto che di solito questo linguaggio viene usato quando ci sono difficoltà per la libertà di culto o quando lo Stato oppone ostacoli alle scuole cattoliche. Qui a cosa si riferisce la Segreteria di Stato? Potrebbe essere che questa volta ci si riferisca al taglio massiccio di fondi al Catholic Relief Services, che nel suo servizio in particolare modo ai migranti dipendeva in gran parte dai fondi stanziati da US AID, che Trump ha annullato. Oggi molti programmi del CRS sono chiusi, alcuni in pericolo, visti tagli e la politica di deportazione dei “migranti forzati” attuata dall’amministrazione Trump.
Comunque queste parole indicano che la politica interna, nei rapporti tra Chiesa e Stato, per la vita ecclesiale crea qualche problema. Il comunicato non sembra equivocabile.
Secondo diverse fonti di stampa, funzionari statunitensi avrebbero affermato in privato che il grande divario tra Trump e il Vaticano in materia di politica migratoria sarebbe incolmabile, sebbene il Segretario di Stato, Rubio, avrebbe dichiarato che le due posizioni non sarebbero, a suo avviso, incoerenti. Sulla pace invece si può leggere un incoraggiamento a ricordarsi dei tre capisaldi vaticani per cooperare.
Interessante notare poi che nulla trapeli sulla Cina, cioè sull’accordo provvisorio sui criteri di nomina dei vescovi cinesi tra Santa Sede e Cina. Il grande scontro tra Vaticano e prima amministrazione Trump si determinò su questo, quando l’allora Segretario di Stato statunitense, Pompeo, venne a Roma chiedendo ufficialmente e formalmente al Vaticano di porre termine a quella intesa. Un’ingerenza ritenuta insolente e il papa non ricevette l’autorevole ministro. Non leggere di questo sembra dire che questa volta a Washington siano stati più accorti, più attenti a non divaricare, ma a cercare di ridurre le distanze.
Distanze che sulla questione migratoria probabilmente restano quelle che erano: ma l’auspicio di superamento delle devastanti guerre in atto può essere una base sulla quale capirsi, importante per Washington come per il Vaticano.