Il porto nord-australiano torna a infiammare le relazioni tra Australia e Cina. L’accordo di leasing con Landbridge del 2015, all’epoca criticato anche da Washington, è oggi al centro di un acceso dibattito sulla sicurezza nazionale, in un contesto strategico segnato dalla crescente competizione nell’Indo-Pacifico
Canberra e Pechino vivono un nuovo momento di tensione nelle loro relazioni, causato dalla questione del controllo di un porto sito lungo la costa settentrionale dell’Australia. Una storia che risale al 2015, quando la compagnia cinese Landbridge Group si è aggiudicata tramite asta un contratto di locazione di 99 anni per le infrastrutture portuali del porto di Darwin. Anche se già allora la mossa era stata oggetto di critiche (lo stesso Presidente statunitense Barack Obama si era pronunciato contro l’accordo raggiunto tra le autorità locali regionali e la società cinese), per dieci anni la situazione è rimasta immutata.
Ma negli scorsi mesi, durante lo svolgimento della campagna elettorale per le elezioni parlamentari australiane, il controllo del porto di Darwin è divenuto un tema del dibattito politico, con il primo ministro del Paese Anthony Albanese che ha affermato come il suo governo stesse lavorando ad un piano per “ricomprare” l’infrastruttura portuale da Landbridge Group per motivi di interesse nazionale, specificando come fosse necessario che essa tornasse “in mani australiane”, e che nel caso non si fosse trovato un acquirente privato sarebbe stato il suo governo a farsi carico del ri-acquisto.
I motivi dietro a questo cambio d’approccio sono molteplici, e sono tutti legati a delle preoccupazioni per la sicurezza nazionale. A partire dal controllo di infrastrutture critiche da parte di una società cinese che dipende in ultima istanza dal governo di Pechino. A questo si aggiungono i rischi di spionaggio verso la Rotational Force del Corpo dei Marines, dislocata nella regione dal 2012, così come quelli di ostacolo all’espansione delle operazioni militari statunitensi nel nord dell’Australia.
Questo sviluppo, come facilmente prevedibile, non è stato accettato di buon occhio, dalla la Repubblica Popolare Cinese, la quale ha deciso di fornire la propria risposta per bocca dell’ambasciatore cinese a Canberra Xiao Qian, il quale ha dichiarato che il gruppo Landbridge ha effettuato investimenti significativi nella manutenzione e nello sviluppo del porto e ha contribuito alla crescita dell’economia locale. “Un’impresa e un progetto di questo tipo meritano incoraggiamento, non punizione. È eticamente discutibile concedere in locazione il porto quando era in perdita e poi cercare di riappropriarsene una volta che diventa redditizio”, ha affermato Xiao tramite una dichiarazione ufficiale dell’ambasciata rilasciata la scorsa domenica.
Tornando sulla questione in occasione di un’intervista, Xiao ha specificato che il gruppo Landbridge si è aggiudicato la locazione tramite una procedura di gara aperta e trasparente, augurandosi che l’Australia valutasse “oggettivamente” la situazione: “La Cina e l’Australia sono partner strategici globali. Le due parti dovrebbero promuovere la fiducia reciproca, poiché una cooperazione reciprocamente vantaggiosa è in linea con i nostri interessi comuni”, ha affermato, esortando il governo australiano a creare un ambiente imprenditoriale equo, trasparente e prevedibile per le aziende cinesi in Australia.
La questione del porto di Darwin si presenta in un raro momento di distensione nelle relazioni tra Australia e Repubblica Popolare, che negli ultimi anni sono state irrigidite da una serie di sviluppi, come il comportamento sempre più assertivo dell’esercito cinese, la firma dell’accordo Aukus, la condanna a morte (sospesa) inflitta allo scrittore australiano Yang Hengjun con l’accusa di spionaggio, l’imposizione di restrizioni su diversi prodotti australiani da parte di Pechino in risposta alla richiesta di Canberra di avviare un’indagine sulle origini della pandemia di Covid-19. Le ultime di queste restrizioni erano state completamente rimosse nel dicembre del 2024, suggerendo l’apertura di un nuovo capitolo nei rapporti tra i due attori dell’Indo-Pacifico. Ma il porto di Darwin potrebbe riaprire una frattura tutt’altro che facilmente sanabile tra i due.