Dalla guerra in Ucraina alle trattative con l’Iran e i conflitti commerciali con gli Stati Uniti, tutte le strade portano a Roma. Ed è un bene per il mondo intero. L’analisi dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta
Quando ci si riferisce alla centralità di Roma nella civiltà occidentale, i proverbi e i modi di dire non mancano, tra “Roma caput mundi” e “tutte le strade portano a Roma”. Nonostante queste formule siano spesso abusate, si potrebbe dire che sono adatte per descrivere la situazione attuale a livello internazionale: una congiuntura in cui la nostra capitale (e di riflesso il nostro Paese) sta assumendo un ruolo di rilievo per cercare di dirimere le numerose crisi in atto. A dir la verità, questa situazione è stata favorita anche dai funerali di papa Francesco e dall’intronizzazione del nuovo pontefice, Leone XIV, che ha attirato delegazioni da tutto il mondo facendo diventare piazza San Pietro e dintorni (per la seconda volta in poche settimane) una location straordinaria per vertici internazionali più o meno improvvisati.
Il governo italiano ha l’opportunità di capitalizzare su questa situazione, e sembra che sia Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, sia Antonio Tajani, ministro degli Esteri, si stiano muovendo bene. Sono tre i dossier su cui l’Italia cerca di mantenere una posizione di primo piano, sfruttando la piattaforma rappresentata da Roma nelle ultime settimane. A cominciare con la guerra in Ucraina, dossier complicatissimo nel quale, a parte alcune incomprensioni con la Francia sulle regole di ingaggio della cosiddetta Coalizione dei volenterosi, il governo italiano è deciso a giocare un ruolo di primo piano. L’attivismo di Meloni e Tajani si manifesta soprattutto nel sostegno all’idea di organizzare negoziati tra Ucraina e Russia in Vaticano (anche se sembra una opzione difficile da realizzare) e nella Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, appuntamento molto importante e che si terrà proprio a Roma a inizio luglio. In questo modo, il governo sgombra con decisione il campo da ambiguità legate alla presunta intenzione di sfilarsi dal gruppo di Paesi che sostengono Kyiv senza se e senza ma contro l’aggressione russa.
Inoltre, non va dimenticato il ruolo importante di mediazione – giocato con discrezione e restando in secondo piano – relativo al dossier iraniano. Le trattative ospitate tra Stati Uniti e Iran presso l’ambasciata dell’Oman a Roma rivelano, seppur implicitamente, che l’Italia occupa una posizione di rilievo in questa trattativa, che speriamo possa condurre alla riapertura delle relazioni con Teheran, tradizionalmente nostro importante partner soprattutto a livello economico.
Terzo dossier che ha visto l’Italia adottare un ruolo di mediazione è quello dei dazi, con Meloni che ha propiziato il breve incontro tra JD Vance, vicepresidente statunitense, e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, domenica scorsa, culminato in una conferenza stampa congiunta. Purtroppo, le nuove minacce formulate da Donald Trump venerdì non consentono di pensare che la trattativa sia a buon punto, ma d’altra parte non si può negare che la premier abbia finora cercato di giocare la carta della vicinanza al presidente statunitense in maniera discreta e facendo squadra con le istituzioni europee. Del resto, per la Casa Bianca i dazi non sono solo una questione di carattere economico, ma anzitutto politico, perché indirizzati non solo verso il resto del mondo ma anche verso quell’elettorato che si è sentito tradito dalla globalizzazione e che ha deciso di votare convintamente per Trump. È importante tenere presente queste considerazioni in fase di negoziato, per capire che le logiche degli Stati Uniti non rispondono alla mera aritmetica dell’impatto economico dei dazi ma a motivazioni fortemente politiche.
Dunque, perché il nostro ruolo può essere così significativo su questi tavoli?
Sul piano concreto, la presenza italiana nell’ambito di queste delicate trattative internazionali offre una tradizione basata su equilibrio e conoscenza delle relazioni internazionali, soprattutto nell’ambito della regione euromediterranea che in questo periodo può davvero fungere da ago della bilancia delle varie crisi in atto (includendo anche il conflitto tra Israele e Hamas e il dramma umanitario che si sta consumando a Gaza). Inoltre, non va dimenticato che storicamente l’Italia (seppur tramite i suoi “predecessori”) è stata presente nella regione del Mar Nero, come testimoniano la nostra architettura a Odessa (simbolo di una vivace comunità italiana presente già nell’Ottocento), le presenze veneziane e genovesi o la nostra partecipazione alla guerra di Crimea a metà del XIX secolo. È, quindi, un bene anche per il mondo intero che Roma e l’Italia siano al centro delle questioni internazionali e che dal nostro governo possano arrivare contributi sostanziali per la soluzione delle crisi e il ripristino di pace e ordine, sia a livello politico che economico incluse le guerre commerciali.
Purtroppo, le variabili che non possiamo controllare sono molte e potenzialmente decisive, come l’umore volatile di Trump e le vere intenzioni di scendere a patti di Putin. Tuttavia, in questa fase un’Italia più propositiva può aiutare l’Italia a rimanere centrale in ambito europeo, bilanciando la ritrovata intesa francotedesca e spostando il baricentro nella regione mediterranea e adriatica (con uno sguardo ai Balcani occidentali, nuova frontiera dell’allargamento europeo) fondamentale per difendere i nostri interessi nazionali.