La buona contrattazione è il sale di un lavoro di qualità e ben retribuito. Contro gli infortuni sul posto occorre un approccio più sostanziale e meno burocratico. Il salario minimo? Parliamo della riqualificazione dei lavoratori. Intervista a Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro
A leggere i numeri dell’Istat la disoccupazione in Italia è ai minimi e in due anni, parole della premier Giorgia Meloni, sono stati creati oltre un milione di posti di lavoro. Eppure, oggi è il primo maggio, Festa del Lavoro, la domanda è d’obbligo: si può fare di più? Di meglio? E come? E dove? E con quali soldi? Nel giorno in cui i lavoratori italiani salutano la giornata dedicata ai mestieri, alle arti e a tutto quello che c’è in mezzo, Formiche.net ha fatto il punto della situazione con Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro nel governo Berlusconi III.
Il Presidente Mattarella, tre giorni fa, ha sollevato nuovamente il tema dei salari in Italia: ancora troppo bassi (in media dell’8% rispetto al 2021) e troppo slegati dal costo della vita. Un problema atavico, strutturale. Ma forse c’è ancora tempo per risolverlo. Dove mettere le mani?
Le retribuzioni sono definite dai contratti. Dal 1993, in un contesto che già sollecitava il collegamento tra salari e produttività, è prevalsa la centralizzazione ideologica della contrattazione con la conseguenza di aumenti modesti e spalmati su tutti. Ora bisogna guardare alla proposta di Federmeccanica che ipotizza incrementi prefissati in quelle imprese che non fanno contratti aziendali ma nelle quali cresce il margine operativo lordo. Se poi potessimo tornare alla detassazione piatta di tutte le componenti meritevoli del salario, vigente tra il 2008 e il 2011, incentiveremmo gli accordi di prossimità. Il potere d’acquisto è infine sostenuto dalle prestazioni sociali e dai benefit.
L’altro grande buco nero del lavoro in Italia, è la sicurezza: il governo ha rinnovato il suo impegno, ma sono ancora troppi gli incidenti, troppe le morti bianche. Colpa solo di imprese che vanno a risparmio su attrezzature e strumenti? O di una regolamentazione poco aggiornata e, per questo, deficitaria?
Nelle statistiche separiamo gli infortuni in itinere (doverosamente risarciti) da quelli in azienda. Consideriamo poi che se gli ispettori avessero controllato molte delle imprese con infortuni mortali avrebbero trovato tutto in regola. Ma qui è il punto. Dobbiamo superare gli adempimenti burocratici (troppi) con un approccio sostanzialista.
Vale a dire?
Investimenti tecnologici, qualità totale, addestramento, prevenzione generale oltre che specifica. Nelle relazioni di lavoro la salute è il primo obiettivo, anche attraverso screening periodici garantiti dal datore di lavoro.
L’occupazione in Italia ha dato negli ultimi mesi, segnali incoraggianti, specialmente sul versante dei giovani. Ma, guardando alla qualità dei rapporti di lavoro, si può dire lo stesso?
In realtà i segnali incoraggianti riguardano gli anziani. I giovani sono pochi e in gran quantità fuori dal mercato del lavoro per responsabilità del sistema educativo. Ben venga ora la pluralità dei percorsi come la nuova filiera tecnologica professionale. Così come va recuperato l’apprendistato duale. La qualità dei lavori è più in generale determinata dalla crescita economica e da intermediari, pubblici e privati, capaci di accompagnare tutti, a partire dagli svantaggiati.
Il governo ha fatto del taglio al cuneo contributivo la sua bandiera. Possiamo, però, aspettarci di più? Ed è sempre valida l’idea che lavorare sulla contrattazione nazionale è lo strumento migliore, piuttosto che agire solo a colpi di decreti o manovre?
Occorre una cultura sussidiaria che preferisca i contratti alle leggi. Queste possono al più sostenere la buona contrattazione. Il lavoro subordinato però merita, come ho detto, una tassazione piatta per lavoro notturno o festivo, straordinari, premi, dividendi. Deve valere la regola per cui più e meglio si lavora, più si guadagna.
L’opposizione è tornata a rivendicare la necessità di un salario minimo. Ma è ancora tempo per misure come queste o bisogna lasciare che l’economia, il mercato, creino lavoro di qualità?
Il problema sono i salari mediani, non quelli minimi ad eccezione di casi limitati. Se poi guadagno poco perché lavoro poco, si ritorna alla necessità di intermediari che favoriscano, anche con la riqualificazione professionale mirata, buoni contratti. Basta quindi con le residue funzioni monopolistiche dei centri per l’impiego e con lo spreco del fondo sociale europeo! Le politiche attive si devono realizzare con premi agli operatori che effettivamente occupano le persone e non con il finanziamento della formazione a catalogo che fa felici solo i formatori.