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La sfida Conte-Schlein per Chigi rischia di minare il campo largo. Parla Ignazi

I risultati elettorali nelle città non certificano l’unità del campo largo. Il problema principale resta la rivalità fra Pd e Movimento 5 Stelle. Conte ambisce a tornare a Palazzo Chigi e tenterà di sbarrare la strada del governo a Schlein. Le questioni di politica internazionale restano divisive, a partire dal conflitto in Ucraina. Mentre su Gaza c’è una sensibilità comune. Colloquio con il politologo Pietro Ignazi

Giuseppe Conte non ci sta a passare per il “guastatore” del campo largo. Era inevitabile che dopo le due vittorie alle amministrative di Genova e Ravenna i leader dei partiti di centrosinistra, a partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein, tornassero a ringalluzzirsi. “Ma da queste due elezioni arrivano segnali molto limitati sul piano del consenso nazionale. Il leader pentastellato farà guerriglia fino alla fine, tentando di mettere in discussione il ruolo del Pd all’interno della coalizione: il rischio è quello di un gioco al massacro”. A dirlo sulle colonne di Formiche.net, è Piero Ignazi, politologo e docente emerito dell’università di Bologna.

Professore, lei sembra ridimensionare un po’ il tenore delle due affermazioni elettorali del centrosinistra sui territori. Perché?

Perché i territori rispondono a dinamiche proprie per lo più, per questo mi sento di limitare un po’ considerazioni di carattere più esteso. L’unico elemento che certamente ha condizionato l’esito del voto e che è potenzialmente esportabile – benché con maggiore fatica rispetto alle realtà provinciali – è l’unità del campo largo. Una dinamica abbastanza insolita.

Non è, però, la prima volta che accade. Cosa trova di insolito nell’unità del campo largo?

In genere, la dinamica elettorale è esattamente opposta rispetto a quanto accaduto a Genova e Ravenna. È il centrodestra a essere unito, mentre il centrosinistra si frammenta. Con queste due consultazioni è ulteriormente dimostrato che l’unità della coalizione può essere competitiva rispetto alla destra.

Dopo gli entusiasmi iniziali, dalle parti del Movimento 5 Stelle sembra essere però arrivata una sorta di battuta d’arresto. Il campo largo a livello nazionale sembra ancora di là da venire. Lei come la vede?

Quello di Conte rischia di essere un gioco al massacro. La sua vera ambizione è tornare a Palazzo Chigi, sbarrando nei fatti la strada a Schlein che invece sarebbe – in virtù dell’importanza del partito – la naturale candidata del centrosinistra alla premiership. Il M5S sarà un pungolo notevole. Ma la vera alleanza strutturale si costruisce sui temi, non sui nomi.

Su quale terreno lei intravede la possibilità per il centrosinistra (allargato) di trovare un’intesa programmatica?

Al momento il progetto di centrosinistra dovrebbe ristabilire condizioni di maggiore uguaglianza anche attraverso la mobilitazione. L’obiettivo da porsi dovrebbe essere quello far crescere i salari per stimolare un aumento dei consumi interni, dare ossigeno al welfare e salvaguardare la sanità pubblica. Oltre a tenere la barra dritta sulla transizione ecologica. In politica estera, è prioritario mantenere un forte radicamento ai valori europei.

La quadra sulla politica internazionale è sempre più complessa da trovare. Quali sono i fronti che dividono ancora?

Direi per lo più sul conflitto in Ucraina. O, meglio, sull’opportunità o meno di proseguire nella fornitura di armamenti. Ma, del resto, il conflitto in Ucraina divide anche il centrodestra attraversato da sensibilità molto differenti. Le venature putiniane, dalle parti della Lega di Salvini, non sono mai state completamente debellate.

Invece su Gaza l’intesa si è trovata. Come se lo spiega?

Me lo aspettavo. La manifestazione del 7 giugno rappresenta un terreno comune. La sensibilità sul Medio Oriente è abbastanza univoca.


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