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Ships for America Act. Così il Congresso sostiene Trump nella strategia marittima

Gli Stati Uniti lanciano una riforma epocale per rilanciare la cantieristica nazionale e contrastare la supremazia marittima cinese. L’Italia, grazie al ruolo di Fincantieri, diventa partner chiave nella nuova strategia navale americana, rafforzando le relazioni industriali e geopolitiche transatlantiche

Il senatore statunitense Todd Young è stato più che esplicito: (ri)lanciand we o lo “Ships for America Act” giovedì primo maggio ha detto che si tratta di “una legge completa volta a rivitalizzare l’industria cantieristica americana e ad aiutarci a tenere il passo con la Cina”. Young — politico conservatore che si dichiara “orgoglioso servitore delle famiglie Hossier”, come si definiscono gli abitanti dell’Indiana — è tra coloro che al Congresso stanno cercando di dare forma di legge al maxi-programma per spingere la cantieristica americana.

Un’idea rivitalizzata pubblicamente da Donald Trump nelle scorse settimane, passata già per un executive order (come quasi tutta l’azione politica dei primi cento giorni). Ma il piano non è semplice espressione dell’America First trumpiano. Non si tratta infatti di ricostruire un’industria in cui gli Usa eccellevano fino a qualche decennio fa, ma piuttosto di recuperare terreno perché ormai quell’eccellenza è in mano al rivale totale dell’America, la Cina — e con una disproporzione numericamente imbarazzante. C’è dunque una volontà strategia basata sulla necessità, perché se gli Stati Uniti intendono continuare a dominare geopolitica e geoeconomia globale, allora la questione “mare” deve essere prioritaria. Ambiti geostrategici come l’Indo-Pacifico o l’Artico sono fortemente regolati da dinamiche (geo)strategiche legate alla dimensione marittima. Sia in termini commerciali che militari, il controllo delle rotte è un fattore determinante adesso e nel futuro (basta pensare che la gran parte della connettività internazionale passa dai mari, tra cavi internet sottomarini, infrastrutture energetiche, e rotte dei container porta-merci).

Per comprendere l’importanza di quanto sta accadendo è utile anche considerare che il gruppo che promuove la legge è: guidato dai senatori Mark Kelly e appunto Young, comprendete i rappresentanti Trent Kelly e John Garamendi. Mark Kelly e Garamendi sono democratici, e trovare un argomento che accomuni i due fronti del polarizzato ordine politico americano non è così comune, ad eccezione che si parli di Cina (e in effetti, come diceva Young…). I quattro presentato una proposta legislativa che ambisce a rifondare l’intero ecosistema marittimo statunitense, dunque parliamo di qualcosa di enormemente vasto. L’iniziativa si articola su due pilastri complementari: una riforma strutturale di governance, capacità e sicurezza marittima, e un pacchetto fiscale sotto l’egida del “Building Ships in America Act”, pensato per incentivare la ricostruzione della capacità cantieristica interna. La portata è storica: è il più ambizioso tentativo degli ultimi decenni di rilanciare la centralità marittima americana sul piano industriale, strategico e militare.

Al vertice della riforma viene istituita una nuova figura di Maritime Security Advisor alla Casa Bianca, affiancata da un Maritime Security Board con funzioni di coordinamento inter-agenzia. Questo sistema mira a rafforzare il coordinamento politico-strategico e a superare la frammentazione storica del comparto. Il pacchetto prevede strumenti di controllo sistematico, inclusi report biennali e supervisione del Government Accountability Office e della Federal Maritime Commission. Un elemento innovativo è la creazione del Maritime Security Trust Fund, finanziato da dazi, tasse di stazza e sanzioni, con particolare attenzione ai traffici legati a navi di Paesi avversari, Cina in primis. Il fondo ricalca il modello dei trust fund stradali e ferroviari, garantendo continuità nel finanziamento del settore.

Il disegno di legge definisce come priorità nazionale il mantenimento di una flotta strategica battente bandiera Usa, con coordinamento tra Dipartimento dei Trasporti e Difesa. Viene varato lo Strategic Commercial Fleet Program, che punta a un obiettivo ambizioso: 250 navi entro il 2030, costruite in America, con equipaggi statunitensi. In parallelo, le regole sul cargo preference vengono rafforzate: tutto il traffico cargo federale, inclusi gli scambi con la Cina, dovrà progressivamente transitare su navi Usa. Sul piano degli investimenti, si prevede un impegno annuale da 250 milioni per i cantieri navali, con fondi aggiuntivi per cantieri minori e strumenti finanziari riformati (es. prestiti rotativi e garanzie fornite anche tramite il Department of Energy).

Le riforme normative includono una semplificazione del regime di conformità della Guardia Costiera e una revisione della normativa del 1851 sulla limitazione di responsabilità per le navi straniere. La legge impone al Pentagono e alla Marina di integrare le migliori pratiche commerciali nella produzione navale militare e di utilizzare il Defense Production Act per aumentare la capacità dei cantieri. Si rafforza anche il reclutamento per il Military Sealift Command. Il pacchetto prevede inoltre la nascita di Maritime Innovation Incubators, finanziati con 50 milioni l’anno, e rafforza il legame con il National Shipbuilding Research Program. In parallelo, viene costruita una nuova architettura formativa: agevolazioni fiscali per studenti e veterani, nuove pipeline di reclutamento, programmi di scambio accademico e investimenti nelle accademie marittime. Infine, si punta a una modernizzazione digitale delle licenze marittime, mentre il Building Ships Act introduce potenti crediti d’imposta per la costruzione navale e gli investimenti infrastrutturali, con zone di prosperità marittima e benefici per assicuratori, classificatori e operatori logistici statunitensi.

La riforma marittima americana rappresenta non solo un ambizioso rilancio dell’industria navale statunitense, ma anche un’opportunità strategica per rafforzare i legami con l’Italia. Il fatto che il tema del shipbuilding sia entrato nel comunicato congiunto tra il presidente Trump e il primo ministro Meloni testimonia l’importanza di questa sinergia. Fincantieri, con la sua presenza consolidata negli Stati Uniti e il ruolo chiave nella costruzione delle fregate classe Constellation per la US Navy, diventa un asset strategico non solo per l’economia italiana, ma anche per la diplomazia del nostro Paese.

L’investimento di Fincantieri negli Stati Uniti, come recentemente analizzato su Decode39, non solo ha creato migliaia di posti di lavoro, ma ha anche rafforzato la rete industriale e tecnologica tra i due Paesi. Questo tipo di cooperazione non solo contribuisce a rafforzare la sicurezza marittima americana, ma crea anche un indotto di competenze, tecnologie e opportunità economiche che beneficiano sia l’Italia che gli Stati Uniti.

In conclusione, l’enorme riforma dell’ecosistema marittimo americano non è solo una questione di rilancio industriale interno agli Stati Uniti, ma rappresenta anche un’opportunità per l’Italia di consolidare il proprio ruolo di partner strategico e tecnologico, promuovendo una collaborazione che va oltre il settore navale e si estende all’intero tessuto delle relazioni transatlantiche.

(Foto X @SenToddYoung)


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