Skip to main content

Trump, la Siria e la sfida per al Sharaa. L’analisi di Cristiano

Un documento rivelato da Reuters porta alla luce un intento coloniale iraniano verso la Siria, con un “doppio corpo”: ricostruire (in parte) il vecchio impero persiano, ma avviare anche, con l’esportazione della rivoluzione khomeinista, la costruzione dell’imamato, cioè il governo teocratico dell’Imam Khomeini o dopo di lui un khomeinista. Le sanzioni economiche facilitavano l’azione iraniana? L’analisi di Riccardo Cristiano sulle ultime decisioni degli Usa di togliere le restrizioni al Paese e l’incontro tra il presidente degli Stati Uniti e quello siriano

Donald Trump ha annunciato la decisione di togliere tutte le sanzioni alla Siria (decisione che potrà attuare solo in parte con suoi decreti, altre sanzioni avranno bisogno del voto del Congresso per essere abrogate) dando così al presidente provvisorio Ahmed al Sharaa, un ex jihadista anche detenuto nelle prigioni americane in Iraq, la possibilità di far ripartire il suo Paese, dove oltre il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. La decisione di Trump è stata contrastata da alcuni suoi collaboratori ma sollecitata tanto dal turco Erdogan quanto dal saudita Bin Salman. La discussione sull’opportunità del passo è stata ampia e la Siria era ormai oggettivamente sull’orlo dell’implosione, con un’infinità di milizie confessionali ed etniche a frammentarla e questo sembrerebbe essere stato il rischio che ha mosso soprattutto l’uomo forte di Riad.

Intanto, mentre a Damasco si festeggiava per la decisione americana che apre una fase nuova per la storia della Siria e di tutti i siriani, l’agenzia Reuters aveva ritrovato un documento ufficiale nell’ex ambasciata iraniana a Damasco, di 33 pagine. La sede diplomatica è stata saccheggiata dagli insorti di al Sharaa quando giunsero trionfanti a Damasco, costringendo il terminale degli iraniani a Damasco, Bashar al Assad, a fuggire. Il documento è molto interessante perché dimostra che quel che si è sempre saputo ma mai potuto documentare, era vero: l’Iran intendeva costruire un impero “informale”, colonizzare la Siria (come l’Iraq e il Libano) con una serie di investimenti importantissimi e pesantissimi, per diversi miliardi di dollari, e così, esercitare (con le sue milizie) un controllo molto ampio politico, economico e culturale. La cosa interessante da notare è che il documento cita il piano Marshall messo in atto dagli americani per ricostruire e legare a sé gli europei come modello da seguire per realizzare il loro progetto imperiale. Per Teheran gli Stati Uniti con il piano Marshall presero il controllo dell’Europa distrutta dalla guerra e altrettanto avrebbero dovuto fare loro in Siria (come con l’Iraq e il Libano). Dunque l’arcinemico diventava l’esempio da seguire, lo stesso tipo di “imperialismo” andava realizzato dal Paese che si definiva anti imperialista e che molti antagonisti hanno, in buona o cattiva fede, seguito e decantato. Gli investimenti toccano tutte le aree nevralgiche della viabilità, della marina e delle attività estrattive e fanno capire che i soldi sottratti allo sviluppo dell’Iran stesso venivano riversati nella “conquista indiretta” del suo spazio “imperiale”. Le sanzioni economiche facilitavano l’azione iraniana? È quello che alcuni passaggi del documento segreto, trovato dalla Reuters, sembra far emergere e che in queste ore aiuta a capire non solo il passato, ma un pezzo delle sfide d’oggi.

L’intento coloniale iraniano ha (o aveva) un “doppio corpo”: ricostruire (in parte) il vecchio impero persiano, vendicandosi di Alessandro Magno, ma avviare anche, con l’esportazione della rivoluzione khomeinista, la costruzione dell’imamato, cioè il governo teocratico dell’Imam, Khomeini o dopo di lui un khomeinista. La vecchissima ruggine tra persiani e arabi, da colonizzare, è evidente. L’ala operativa di tale colonizzazione “islamista e imamista” erano i pasdaran, ala marciante dell’esportazione della rivoluzione khomeinista e della trasformazione demografica.

Tra le richieste di Trump ad al-Sharaa c’è anche quella di proseguire nella lotta contro l’Isis, un’organizzazione attraverso la quale il nuovo presidente siriano è transitato prima di combatterla da anni. L’Isis, emerso come Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (nome con il quale si indicano Siria e Libano) aveva l’analogo progetto fondamentalista e totalizzante, ma radicato nel campo opposto, quello sunnita, del pianeta teocratico: sostituiva il governo teocratico dell’Imam (sciita) con quello del Califfo (sunnita). Due eresie per molti musulmani dei due campi.

La trasformazione di al-Sharaa, il suo passaggio da questo mondo all’altro campo, quello compatibile con una visione pragmatico-tecnocratica deradicalizzata come quella di Bin Salman, è tra gli elementi più interessanti dell’oggi. Alcuni non ci credono, e vedono nel suo modo di procedere sin qui, affidando tutto il potere a uomini della coalizione islamista che lo ha portato al potere, un indicatore di non affidabilità. Altri fanno presente che in realtà già da anni al Sharaa è stato tra i più potenti decostruttori delle reti dell’Isis e di al Qaida, ma proprio le sanzioni obbligavano al Sharaa a procedere così, cioè affidandosi sui suoi e basta, negandogli la possibilità di dare alla sua popolazione quel sollievo economico che solo avrebbe potuto produrre il consenso. La scommessa di Trump dunque potrebbe evitare l’implosione della Siria con tutti i rischi che ciò avrebbe comportato, facendo affidamento sui condizionamenti esterni per garantirne l’indirizzo nuovo. La forza della mano saudita sull’indirizzo che potrà prendere al-Sharaa è la leva su cui evidentemente si fa affidamento: al Sharaa sarebbe chiamato a regolare i conti con i settori più radicali che lo hanno sostenuto.

Ma il valore culturale che sta dentro il documento rivenuto a Damasco è altrove. L’Iran (parlando del piano Marshall americano per realizzare un progetto dichiaratamente imperiale, coloniale) perseguiva un disegno che non aveva proprio nulla a che fare con l’antagonismo di cui alcuni hanno parlato.

La strada che si cerca oggi non può ripercorrere quelle del settarismo, ben note dal tempo del colonialismo francese, o della criminalizzazione di intere comunità, come ha fatto Assad. In Paesi etnicamente e religiosamente complessi solo un sano federalismo non confessionale può far procedere la politica. Tutto sommato lo slogan della rivoluzione siriana è stato “uno, uno, uno: il popolo siriano è uno” e a questo, nonostante al Sharaa, molti siriani sono rimasti fedeli. Questa unità va costruita rispettandone e unendone le diversità, non con la cantonalizzazione, che cristallizza le divisioni e le inimicizie invece che costruire l’unità. Non facile, come sovente accade alle ricette necessarie.

 

 


×

Iscriviti alla newsletter