Il governo conferma l’impegno a raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil in spese per la difesa entro il 2025, così come previsto dagli accordi Nato. Il riconteggio delle spese per la Difesa dovrebbe infatti permettere all’Italia di rispettare l’impegno atlantico, ma dall’opposizione si sollevano dubbi su come questo intervento contribuirà, nei fatti, a potenziare le Forze armate
Entro il 2025 l’Italia centrerà l’obiettivo del 2% del Pil destinato alla difesa. È quanto ha confermato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo oggi al Senato. Per Meloni, si tratta di un obiettivo “non solo realistico, ma necessario”. Un impegno che affonda le radici nel vertice Nato del 2014, quando tutti i Paesi dell’Alleanza si erano detti pronti a raggiungere, entro dieci anni, una spesa per la difesa pari al 2% del loro Prodotto interno lordo. “Tutti i governi che si sono succeduti, senza distinzioni politiche, hanno confermato questa linea”, ha ricordato la premier. La novità, secondo Meloni, è che oggi esiste un esecutivo determinato a tradurre quell’adesione formale in un dato concreto.
Come arriveremo al 2%?
Il raggiungimento del target avverrà tramite il riconteggio all’interno del budget difesa di alcune voci che in passato non ricadevano sotto l’ombrello della Difesa (come le Forze dell’ordine e le infrastrutture strategiche a uso duale civile-militare). Tale operazione, secondo la premier, sarebbe già stata realizzata anche da altri Paesi membri dell’Alleanza. Un’operazione, dunque, di riallineamento metodologico – viene da intendere – più che una rivoluzione numerica. Il riferimento è al cosiddetto “approccio multidimensionale” alla sicurezza, condiviso tanto dal concetto strategico dell’Alleanza quanto dal Libro Bianco europeo e dal piano “Readiness 2030”, in cui rientrano le spese per la cybersicurezza, il controllo del dominio sottomarino, la protezione delle infrastrutture critiche e la crescente attenzione verso il settore spaziale.
“Rafforzare la difesa”, ha detto Meloni, “non vuol dire solo aumentare gli armamenti, pur fondamentale. Significa anche proteggere i confini, contrastare il terrorismo, presidiare il cyberspazio e difendere le catene del valore”. Una visione che si riflette anche nella volontà, ribadita dalla premier, di rafforzare il pilastro europeo della Nato, nella prospettiva di una complementarietà strategica con la componente nordamericana. “La libertà ha un prezzo”, ha sottolineato Meloni, “e se deleghi ad altri la tua sicurezza, perdi anche la capacità di decidere pienamente del tuo destino”.
I dubbi dell’opposizione
L’annuncio di Meloni è arrivato nel contesto di una risposta a un’interrogazione parlamentare presentata dal leader di Azione, Carlo Calenda, che chiedeva se il Paese stia realmente pianificando investimenti in capacità operative per garantire la sicurezza nazionale, o se l’aumento delle cifre sia invece frutto di una semplice operazione contabile.
Replicando all’intervento della premier, Calenda si è detto “parzialmente soddisfatto” della risposta. Se infatti il leader di Azione si è detto concorde con la necessità di rafforzare l’impianto di difesa nazionale, ha sollevato dubbi sulla sua effettiva attuazione. “Vorrei sapere se noi compriamo qualche missile in più rispetto ai 63 che, secondo il suo ministro (Crosetto, ndr.), abbiamo in caso di attacco”, ha incalzato il leader di Azione. “Per affrontare le sfide di oggi”, ha aggiunto “non basta un ricalcolo delle voci di spesa. Serve uno stanziamento reale, al netto delle rivalutazioni, e un rinnovamento concreto delle Forze armate, la cui età media si aggira ormai sui 59 anni”.