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Cosa accadrà con l’introduzione della sugar tax. Tutti gli effetti collaterali

Dopo anni di rinvii, ora la tanto discussa tassa sulle bevande zuccherate è pronta rientrare dalla finestra. Ma secondo l’Istituto Bruno Leoni il rischio concreto è quello di produrre esiti opposti a quelli desiderati, spingendo le persone a sostituire il prodotto tassato con altri di minore qualità e più basso prezzo, per compensare l’imposta

Chi decide tra le corsie del supermercato, lo Stato o il consumatore? Domanda non banale, perché non in tutti i Paesi dell’Europa si va a far la spesa con la stessa libertà d’animo. Si guardi un momento al Nanny State Index, che mostra il grado di paternalismo nella regolamentazione dei vari Paesi d’Europa su cibo, alcolici, bibite zuccherate, sigarette elettroniche e prodotti contenenti nicotina. Ebbene, secondo l’Istituto Bruno Leoni, i primi posti di tale classifica (Turchia, Lituania, Finlandia) sono occupati dai Paesi che restringono maggiormente la libertà di scelta dei consumatori, mentre nelle ultime posizioni (Germania, Lussemburgo, Italia) vi sono i Paesi relativamente più liberi.

E qui il pensiero corre dritto alla sugar tax. Dopo sette rinvii consecutivi bipartisan, in Italia entrerà però in vigore il prossimo 1° luglio la tassa sulle bevande zuccherate, con un’imposta di 10 euro per ettolitro sui prodotti finiti e 0,25 euro per chilogrammo su quelli destinati alla diluizione. Si prevede quindi un aumento in media del 28% della fiscalità sui beni interessati, a fronte di un gettito annuale stimato in circa 600 milioni: una cifra, sottolinea il Bruno Leoni, “piuttosto modesta nel contesto delle coperture necessarie al bilancio dello Stato (la finanziaria 2025 è stata pari a circa 34 miliardi)”.

E poi sono in costante calo gli zuccheri nelle bevande e soft drink prodotti in Italia e nel mercato comunitario. Di più. Secondo dati Unesda (la European soft drinks industry association) gli sforzi delle imprese hanno permesso un risultato complessivo tra i diversi stati Ue che supera gli stessi obiettivi della Ue, con la riduzione degli zuccheri aggiunti nei soft drink pari al 14,6%, realizzata tra il 2015 e il 2019. Quest’ultima diminuzione dello zucchero si aggiunge ai risultati precedentemente ottenuti, che portano a una riduzione totale di zuccheri aggiunti del 26% dal 2000 a oggi. E l’Italia, tra gli ultimi Paesi in Ue per consumo di soft drink, ha fatto già la sua parte con il 20% di riduzione di zucchero immesso in consumo tramite soft drink, come emerge dai risultati illustrati dal ministero della Salute nel 2018, senza l’introduzione di alcuna misura fiscale.

Altrettanto modesta pare l’incidenza dei soft drink fra le cause dell’obesità nel nostro Paese. Oltre ad avere un consumo pro capite (circa 50 litri l’anno) molto inferiore alla media europea (95 litri), il Bruno Leoni ricorda come “i dati sull’obesità nel nostro Paese presentano alcune anomalie, che obbligano a trattarli con una certa cautela. Le evidenze internazionali su questo tipo di misure paternalistiche restituiscono risultati quanto meno ambigui: il rischio concreto è quello di produrre esiti opposti a quelli desiderati, spingendo le persone a sostituire il prodotto tassato con altri di minore qualità e più basso prezzo, per compensare l’imposta”.


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