Oggi la premier è sola nel panorama italiano a schierare il Paese prudentemente per quanto sia, a favore di una spesa militare. Quindi è la sola che può avere un filo per quanto tenue, e progressivamente distante, con Europa e Stati Uniti. Questa è la fortuna, alla latina, di Meloni, anche per l’ignavia degli altri partiti politici che consciamente o inconsciamente la lasciano da sola
L’antica fortuna romana era fatta di un misto di abilità e fato, cioè capacità di avvantaggiarsi di quello che la sorte ha dato. L’antica Cina semplificava il concetto con due parole: shi 势 posizione di forza, di vantaggio, e shi 时 , tempo giusto, momento corretto. Si tratta di prendere, assumere la posizione di forza secondo il momento opportuno. Ci possono essere quindi diverse posizioni di forza in diversi momenti storici. Questo vale per la strategia militare, ma anche, e soprattutto forse, per la strategia politica. Infatti, gli uomini di Stato romani erano in primo luogo soldati e generali. Diventavano capi politici e avevano conseguentemente una visione complessiva della forza dello Stato.
Forse questo contesto teorico, astruso, può aiutare a comprendere la sorte dell’Italia e del suo governo in questo momento storico. Da anni ormai, più pacatamente con l’amministrazione di Joe Biden e più ad alta voce con l’amministrazione di Donald Trump, l’America sta pressando l’Europa ad aumentare le spese militari. È una questione strategica globale al di là del conflitto in Ucraina o in Medioriente. Si tratta da un lato di alleggerire la posizione americana sul fronte occidentale, perché l’America deve impegnarsi di più sul fronte orientale, asiatico, e avere un aiuto a risanare il suo disastroso deficit di bilancio.
Con questo maggiore impegno europeo d’altro canto l’alleanza politico militare può essere meno zoppa. Essa deve camminare con più gambe. Oltre a quella americana, ci vuole anche quella degli alleati europei e asiatici. Quindi si passa da una posizione in cui l’America saltellava con la sua gamba da una parte all’altra del mondo a una situazione in cui l’alleanza americana si svilupperebbe in maniera tentacolare, in maniera più incisiva, pervasiva ma anche meno onerosa per le casse Usa. È una posizione generale degli Stati Uniti che non dipende da questo o quel presidente.
Dopo tante esitazioni, indecisioni, i Paesi europei hanno raccolto la sfida. Si è formato un quartetto di testa al di là dell’Unione europea (Regno Unito, Francia, Germania, Polonia) che sta guidando lo sforzo di riarmo. La Polonia ha un ruolo speciale, per il suo impegno quasi diretto e certamente molto prossimo al conflitto in Ucraina, poi perché ha già raggiunto, e sta superando, l’obiettivo indicato dall’America di allocare il 5% del Pil nella difesa.
Oltre i quattro la Turchia, membro Nato, sta avendo un ruolo più cruciale. Ha espulso l’influenza iraniana dalla Siria, funziona come anello di congiunzione strategico militare tra i potentati petroliferi del Golfo e gli Usa, estende un interesse anche in Egitto e in Libia. È il fianco sud orientale della Nato, come recentemente riconosciuto il Financial Times.
In questo contesto l’Italia resta oggettivamente isolata. Il governo si barcamena, come può. Si dichiara trumpiano e tiene i fili con l’Europa. In teoria la posizione è giusta ed equa, in realtà scivola indietro rispetto a entrambe le parti. Al di là delle posizioni partitiche dall’una all’altra parte dell’Atlantico, europei, turchi e americani convergono nel credere che bisogna spendere di più in armamenti. L’Italia però fa fatica a seguire.
C’è l’onere del rapporto Pil-debito pubblico, ci sono i problemi burocratici, le tante consorterie che affollano il panorama nazionale. C’è la difficoltà quasi storica di liberalizzare il mercato interno e una predilezione particolare di ogni governo di ravanare nell’economia e nel mercato. Ciascuno di questi problemi, uno per uno, non sono peccati mortali. Ma messi insieme sono un limite oggettivo alla capacità di spesa del governo nel militare.
Oggi la spesa è di circa 1,5% del Pil, dovrebbe rapidamente arrivare al 5%, cioè più che triplicare. Il governo ha annunciato un modesto movimento verso il 2%. D’altro canto, la questione della spesa militare dà l’itterizia all’Italia. Tutta l’opposizione è schierata contro l’idea di “andare in guerra” e l’opposizione nella guerra milita anche nei ranghi del governo. Molto di questo pacifismo è vero e legittimo, ma c’è anche quello finto, che dichiarava di trovare poi una sponda nel papa e lanciava messaggi di amore a Mosca.
Oggi il papa è cambiato e, come ricorda Francesco Strazzari, è uno agostiniano. Agostino voleva la pace ma pensava che ci fosse anche una guerra giusta. Cioè questo papa potrebbe imprimere una rotta più realista alla Santa sede su tanti problemi politici. Infatti, una delle sue prime dichiarazioni è stata di sostegno all’Ucraina in battaglia.
Non è chiaro però se l’assottigliarsi della sponda vaticana imprimerà una dinamica diversa alla politica italiana. Oggi la premier Giorgia Meloni è sola nel panorama italiano a schierare il Paese prudentemente per quanto sia, a favore di una spesa militare. Quindi è la sola che può avere un filo per quanto tenue, e progressivamente distante, con Europa e Stati Uniti.
In questo senso, quindi Meloni è senza alternative, e lei, per la composizione del suo governo poi ha limitati margini di manovra, oppure rischia di cadere, e far precipitare le cose in Italia. Questa è la fortuna, alla latina, di Meloni, anche per la sciocchezza o l’ignavia degli altri partiti politici. Essi consciamente o inconsciamente lasciano Meloni da sola.
Da qui due conseguenze una per l’Italia e una per la premier.
Se non cambia il quadro generale, il governo difficilmente riuscirà a imprimere una marcia avanti sulle delicate spese militari, e quindi scivolerà sempre più indietro nella grande diplomazia in atto, con conseguenze imprevedibili anche politiche ed economiche per il Paese. D’altro canto, in mancanza di alternative Meloni occuperà sempre più spazio politico all’interno dell’Italia. Cioè l’Italia diventerà sempre più piccola, ma sempre più meloniana.
Qui alla fine, come nei romanzi gialli, il twist del racconto. Se a Meloni interessasse davvero aderire alla nuova politica euroatlantica allora dovrebbe cercare un consenso ampio anche nell’opposizione per l’aumento delle spese militari. Questo creerebbe però una alternativa al suo governo. Un altro partito, per la discesa sarebbe legittimato come lei, e magari più di lei, a parlare con Bruxelles e Washington.
Quindi nel suo tornaconto oggettivo, l’isolamento della sua posizione in Italia e quella dell’Italia nel dialogo della difesa euroatlantica favorisce Meloni: è l’unico interlocutore e quindi insostituibile, e quindi aumenta la sua potenza di giorno in giorno. Del resto lei perché dovrebbe lavorare per il nemico e contro se stessa?
Al di là delle intenzioni questo è il quadro generale. Agli italiani, gli europei e gli americani, la facile sentenza sul Belpaese.