Gli Stati Uniti stanno rilanciando la propria cantieristica navale per rispondere all’ascesa marittima della Cina, puntando su partnership con Giappone e Corea del Sud. Ma anche l’Italia, con Fincantieri e una crescente presenza operativa nell’Indo-Pacifico, può giocare un ruolo strategico. La sosta della fregata Marceglia a Singapore ne è un segnale concreto
Nel confronto strategico tra Stati Uniti e Cina, la cantieristica navale sta rapidamente diventando uno dei settori più cruciali per la proiezione di potenza e il mantenimento della superiorità marittima. È questo il tema a cui abbiamo dedicato l’edizione settimane di “Indo-Pacific Salad” (per leggere gli approfondimento della newsletter basta iscriversi seguendo il link).
Pechino ha già superato Washington per dimensioni della flotta e capacità produttiva, grazie a un sistema integrato di cantieri civili e militari sostenuto da massicci sussidi pubblici. Sebbene ancora la potenza navale americana resti un punto di riferimento globale, la Cina costruisce navi da guerra a un ritmo cinque volte superiore rispetto agli Stati Uniti. In questo scenario, la ricostruzione della base industriale marittima americana non è solo una priorità tecnica, ma una sfida strategica.
Due recenti studi – uno della Rand Corporation e uno del Center for Strategic and International Studies (Csis) – indicano che gli Stati Uniti devono muoversi verso un modello di cooperazione industriale multilaterale. Giappone e Corea del Sud, che insieme detengono il 40% della capacità mondiale di costruzione navale commerciale (la Cina da sola vale il 50%, gli Usa l’1%) vengono identificati come i partner più immediati. I due report propongono alleanze produttive, investimenti condivisi, coproduzione modulare e affidamento alle capacità m.r.o. (manutenzione, riparazione e revisione) degli alleati asiatici. È una strategia che punta a superare l’isolamento industriale e a rafforzare le catene di approvvigionamento occidentali.
Ma questa nuova architettura navale offre margini anche per altri alleati. L’Italia può per esempio ritagliarsi un ruolo di primo piano grazie a una combinazione di presenza industriale e ambizione strategica. Fincantieri è già integrata nella filiera americana, con il cantiere di Marinette in Wisconsin impegnato nella costruzione delle fregate Constellation. A ciò si aggiunge la crescente visibilità operativa nel quadrante indo-pacifico. La sosta della fregata Antonio Marceglia a Singapore in occasione di Imdex Asia 2025 – una delle principali fiere navali del continente – ha mostrato la capacità italiana di operare in teatri avanzati e di promuovere piattaforme ad alta interoperabilità, orientate all’export e compatibili con le esigenze Nato.
In un momento in cui molti Paesi asiatici, Singapore compreso, cercano di ridurre la dipendenza da navi costruite in Cina, l’Italia può proporsi come fornitore alternativo, credibile e politicamente allineato. La presenza del Marceglia non è stata solo simbolica, ma una prova concreta delle capacità operative e industriali italiane in un’area centrale per l’equilibrio navale globale. In sintesi, se Giappone e Corea del Sud sono i protagonisti naturali del piano americano di rilancio cantieristico, l’Italia può giocare un ruolo complementare ma altamente significativo. Se è vero che il riassetto della potenza marittima occidentale richiede una visione ampia e multilivello, allora Roma ha gli strumenti – industriali, tecnologici e diplomatici – per essere in qualche modo protagonista.