Il Paese sudamericano è il secondo mercato al mondo di minerali critici, dopo la Cina. E ora alcune aziende hanno deciso di aiutare gli Stati Uniti nella competizione globale contro Pechino. Che, nel frattempo, suona la carica per i Brics
Basta un dato per farsi un’idea della portata della sfida. Oggi la Cina controlla circa il 70% delle terre rare sparse per il mondo. In poche parole, Pechino può trattare, commerciare e vendere la quasi totalità dei minerali critici, senza i quali non è possibile realizzare tutta una serie di prodotti di ultima generazione. Un vantaggio strategico e competitivo netto, che dà al Dragone la potenza di fuoco necessaria per invadere e conquistare intere porzioni di mercato. Vale su tutti l’esempio dell’auto elettrica, che certo necessita dei citati minerali per la sua realizzazione.
Eppure, una risposta a questo strapotere, sta piano piano prendendo corpo e forma. E passa dal Brasile. Gli Stati Uniti non possono certo permettersi di lasciare ulteriore terreno alla Cina. Prova ne è l’insistenza con cui Washington ha cercato e, alla fine, trovato l’accordo con l’Ucraina per lo sfruttamento delle terre rare. Ora però si è aperto un nuovo fronte, quello verdeoro. Il Brasile è oggi il secondo mercato al mondo di minerali critici, dietro alla sola Cina per l’appunto. Come racconta il Wall street journal, ci sono alcune aziende canadesi, tra cui la multinazionale Aclara di Vancouver, che hanno deciso di dirottare i minerali che estrae dalle miniere brasiliane, proprio negli Stati Uniti.
Non è un’idea campata per aria. A rendere credibile il tutto è il fatto che la stessa impresa abbia annunciato l’avvio di un’indagine per individuare il luogo più adatto, stavolta su territorio americano, dove costruire l’impianto che poi lavorerà i minerali provenienti dal Brasile. Si tratterebbe di uno stabilimento pilota, che però, come ricorda lo stesso quotidiano finanziario statunitense, potrebbe aprire a nuovi accordi per l’estrazione e la successiva lavorazione negli Usa di minerali critici. D’altronde, il potenziale è enorme. Il Brasile, come detto, possiede la seconda riserva mondiale di terre rare più grande dopo la Cina, con circa 21 milioni di tonnellate, secondo l’US Geological Survey. Ciò rappresenta più di un quinto delle riserve globali conosciute e più di 10 volte quelle degli Stati Uniti.
Non è finita. Dopo aver messo a disposizione degli Usa la miniera di Goiânia, nella regione del Goias brasiliano, Aclara prevede di investire circa 600 milioni di dollari per completare i lavori su un impianto più grande accanto alla miniera di Nova Roma, per avviare la produzione a pieno regime nel 2028.
L’impianto elaborerà parzialmente le terre rare, creando carbonati di terre rare: rocce bianche contenenti tutti gli elementi che saranno separati in singoli elementi negli Stati Uniti. E a questi ultimi destinati.
Attenzione alla geopolitica e alle sue alchimie. Proprio in questi giorni, mentre il Brasile offre il fianco agli Stati Uniti, è in corso a Brasilia il summit dei ministri del Commercio dell’area Brics, il blocco di economie alternativo e antagonista al G7 e di cui il Paese verdeoro è parte. E la Cina, nemmeno a farlo apposta, ha lanciato un nuovo appello all’unita. “Di fronte ai nuovi dazi lanciati dal presidente Usa Trump, la Cina intende rafforzare la cooperazione commerciale ed economica tra i paesi che compongono il raggruppamento Brics”, ha affermato la vice rappresentante per il commercio internazionale di Pechino Li Yongjie. Gli Usa, però, ora hanno una carta in più.