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Vi spiego il ruolo della diplomazia Vaticana per la pace giusta in Ucraina. Parla Fattorini

Il Vaticano sarà centrale negli sforzi diplomatici per arrivare a una pace giusta in Ucraina. Il nuovo pontefice ha una proiezione geopolitica che riporta al centro l’Occidente e gli impegni assunti con il vicepresidente statunitense Vance rafforzano gli organismi internazionali. Il rapporto Santa Sede-Meloni? Equilibrato e proficuo. Ora la premier si muova nel solco di De Gasperi. Colloquio con Emma Fattorini, docente emerita de La Sapienza

“Ci vuole prudenza, perché è proprio adesso che si comincerà davvero a capire quali sono le reali possibilità della diplomazia per la risoluzione del conflitto in Ucraina. Non c’è dubbio, però, che la diplomazia vaticana della Santa Sede stia svolgendo un grande lavoro”. A parlare sulle colonne di Formiche.net è Emma Fattorini, professoressa Emerita de La Sapienza e autrice, tra gli altri, del saggio Achille Silvestrini. La diplomazia della speranza, 2024 (Morcelliana). Il quadro degli sforzi diplomatici è complicato ma il Vaticano, su input preciso del nuovo pontefice, ha riacquisito centralità. Elemento, quest’ultimo, certificato dalla chiamata fra il premier Giorgia Meloni e papa Leone XIV nelle scorse ore. Il contatto fra capo del governo e pontefice, però, è solo un tassello di un mosaico strategico molto più articolato che l’esecutivo sta attuando. Nei giorni scorsi, infatti, è stata proprio Meloni la prima leader a intuire che i negoziati potessero essere ospitati dal pontefice, anticipando questa ipotesi all’inquilino della Casa Bianca.

Professoressa Fattorini, il suo è al contempo un richiamo alla prudenza e una presa d’atto di un forte attivismo della diplomazia vaticana finalizzata al raggiungimento della risoluzione del conflitto in Ucraina. Cosa c’è da aspettarsi?

Il mio richiamo alla prudenza è più che altro finalizzato a evitare il rischio di un’attesa quasi messianica verso l’azione del pontefice in questa fase di difficile stallo del conflitto in Ucraina nella quale i tentativi diplomatici fatti dai vari Paesi a partire dagli Stati Uniti non hanno portato a un nulla di fatto.

Il premier Meloni ha intuito per prima che i negoziati potessero essere condotti in Vaticano. Che segnale va colto?

Il premier Meloni si sta muovendo con equilibrio verso la Santa Sede. Nella sostanza i rapporti tra governo e Vaticano mi sembrano buoni e possono rivelarsi proficui. Lo sforzo che occorre fare è muoversi, a tutti i livelli, nel nome di De Gasperi, vero faro nel buio. La sua proposta di un trattato per la difesa europea, la Ced, aveva un contenuto costituente di un’Europa unita: politico, economico, di politica estera e difesa. La strada si fa difficile, dopo il fallimento di Trump, la durezza di Putin e l’escalation a Gaza. Per cui è indispensabile rafforzare la dimensione europea.

In questo quadro complicato è ragionevole immaginare un ruolo più centrale dell’attività diplomatica della Santa Sede o sono suggestioni?

È ragionevole immaginarlo perché da questo pontefice è arrivato un segnale chiaro in questo senso. Leone XIV ha una dimensione geopolitica che si riflette sull’attività diplomatica vaticana e questo è un elemento importante, anche di discontinuità con il suo predecessore in alcune proiezioni.

Come si sostanzia la discontinuità nel quadro geopolitico fra Leone XIV e Bergoglio?

Prevost è senz’altro un pontefice che non ha escluso l’Occidente – considerandolo, come aveva fatto il predecessore, ormai perso e nichilista – pur tenendo in forte considerazione anche la dimensione sudamericana in cui ha operato per anni. Bergoglio invece aveva una proiezione decisamente più asiatica. E questo è dimostrato dal fatto che il nuovo pontefice stia valorizzando anche il lavoro svolto dal cardinale Parolin verso la Cina, nel solco – ancora una volta – di un’antica tradizione di diplomazia vaticana che passa dai cardinali Casaroli e Silvestrini.

In queste ore si fa spesso riferimento alla figura dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher come uomo chiave nella rete di rapporti diplomatici vaticani. 

Senz’altro Gallagher, che guida i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali potrà avere un ruolo di primo piano in questa fase complessa. Un facilitatore dei processi. Così come immagino e spero possa avere un ruolo il prefetto del Dicastero delle Chiese Orientali, Claudio Guggerotti: una risorsa fondamentale sul piano della strategia vaticana.

Esiste anche un tema di rapporti fra Santa Sede e Russia. Qual è la sua lettura?

I rapporti fra Santa Sede e Russia sono stati un tema centrale da ben prima della guerra. Chiaramente la prospettiva, a seguito dell’invasione di Putin, è cambiata. Non dimentichiamoci che papa Giovanni Paolo II immaginava la Russia come polmone orientale dell’Europa che avrebbe dovuto respirare con due polmoni: quello occidentale e quello orientale. Questo, nel suo disegno, per favorire la caduta del comunismo. La tradizione diplomatica vaticana non può prescindere da questa storia che darà centralità al Vaticano nei negoziati. Il pontefice è stato molto netto quando nella sua prima omelia ha parlato di pace giusta in Ucraina.

Come legge l’incontro fra il pontefice e il vicepresidente degli Usa, JD Vance dei giorni scorsi?

È un appuntamento nevralgico per capire la strategia vaticana anche nel rapporto con gli Usa. Le dichiarazioni rese dopo incontro sono significative. Gli impegni assunti riguardano infatti il rilancio della diplomazia multilaterale, il diritto umanitario e il diritto internazionale. Un segnale esplicito a tutti gli organismi internazionali che, oggi più che mai, appaiono svuotati di peso mentre la storia della diplomazia vaticana ci insegna – per lo meno dalla Prima Guerra Mondiale a oggi – che molti degli sforzi profusi sono stati finalizzati proprio a rafforzare gli organismi internazionali. La pace disarmata e disarmante è nel cuore del pontefice.

Che tempi prevede?

Ragionevolmente non brevi. La Chiesa farà ricorso a tutte le sue migliori risorse interne, che sono tante e di livello. Penso all’opera diplomatica dei cardinali Parolin e Zuppi che hanno dimostrato notevoli capacità diplomatiche. Zuppi, che richiama anche la grande tradizione della diplomazia della carità e dell’assistenza, ha avuto un grande ruolo nell’assistenza ai bambini del fronte. Pensiamo a Benedetto XV durante la prima guerra mondiale verso i prigionieri di guerra e a Pio XII nell’assistenza gli ebrei durante l’occupazione tedesca a Roma.


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