La formazione accademica a difesa della democrazia e dell’innovazione, per quei cambiamenti che promuovano inclusione ed equità rafforzando il legame con la società e sostenendo il protagonismo dei giovani. Il racconto di Elvira Frojo
“Democrazia, autorità, processi globali” è il convegno tenutosi, il 12 e 13 giugno scorsi, all’Università La Sapienza di Roma, il più grande ateneo d’Europa. Promosso dalla Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione per riflettere su prospettive geopolitiche e economiche, ruolo delle istituzioni ma anche società e relazioni. In uno scenario di “sfiducia nelle istituzioni, polarizzazione politica, crisi della rappresentanza e nuove forme di autoritarismo che mettono alla prova i modelli democratici tradizionali”, è necessaria “una riflessione critica e la ricerca di nuovi paradigmi di governance”, ha affermato il preside della Facoltà Pierpaolo D’Urso.
“Studiare e comprendere le trasformazioni della democrazia significa non solo analizzarne le fragilità, ma anche individuare nuove prospettive capaci di rafforzarne i principi fondamentali, adattandoli alle esigenze di una società sempre più interconnessa e complessa. In un’epoca di transizione, la ricerca scientifica e il confronto accademico sono strumenti essenziali per immaginare il futuro della democrazia e della politica: la politica non è solo gestione del potere, ma è il tessuto connettivo della democrazia, il respiro che anima le società libere”, spiega il docente. Un dibattito a tutto campo, nell’incontro romano, per parlare del futuro della democrazia in un mondo globale sempre più complesso anche per effetto della tecnologia digitale.
Dopo i saluti della rettrice Antonella Polimeni, prima donna alla guida de “La Sapienza” dopo oltre settecento anni dalla fondazione, del sindaco Roberto Gualtieri e del Presidente della Fondazione Roma Sapienza Eugenio Gaudio, rappresentanti delle istituzioni pubbliche, docenti, magistrati e giornalisti hanno offerto interessanti orizzonti, per un futuro incerto. Tra questi, Giuliano Amato, Sabino Cassese, Maria Elisabetta Casellati, Maria Rosaria San Giorgio, Maria Teresa Sempreviva, Maura Caprioli, Paola Briguori, Francesco Maria Chelli, Nicola Branzoli, Maria Latella, Corrado Augias, Giovanni Floris, Massimo Franco.
Primo convegno annuale organizzato dalla Facoltà che, come ha ricordato il preside, “affonda le sue radici nel pensiero di Angelo Messedaglia, professore di Economia e Statistica dell’ateneo, che sottolineava la necessità di affiancare allo studio del diritto una formazione multidisciplinare che includesse economia, statistica, storia, sociologia e geopolitica”. Dal 2010 articolato in tre dipartimenti, il polo universitario “con le sue radici salde nella tradizione e lo sguardo sempre rivolto al futuro, è stata ed è una fucina di idee, dove si coltiva la speranza per una società migliore e più giusta”.
“Un luogo dove la conoscenza politica ha plasmato generazioni di pensatori, studiosi, accademici, leader politici e della società civile, donne e uomini delle istituzioni e cittadini consapevoli”. Tra gli studenti della facoltà, Paolo Gentiloni e Rosanna Oliva de Conciliis, mentre tra i docenti si annoverano Aldo Moro, Vittorio Bachelet, Massimo D’Antona e Giuliano Amato. Un polo multidisciplinare, come ha affermato D’Urso, “a difesa del ruolo delle istituzioni, della cultura e della partecipazione civile. La democrazia non si eredita, si costruisce ogni giorno, con responsabilità e impegno”, per “affrontare le sfide della contemporaneità con uno sguardo ampio e inclusivo”. Formare giovani “costruttori di domani”, “capaci di navigare la complessità del mondo contemporaneo con una mente critica e un cuore aperto affinché la realtà non sia solo subìta, ma compresa e trasformata”, è l’obiettivo della vasta e dinamica realtà accademica.
Sfide da affrontare con autonomia di pensiero, nutrita dalla conoscenza. Ponte tra sapere e futuro. E se il cambiamento iniziasse dalle donne?
Nel convegno promosso dalla Sapienza, un panel tutto al femminile dal titolo “Donne e Istituzioni” ha raccolto voci e esperienze di testimoni femminili di talento e successo in ruoli apicali della politica, magistratura, pubblica amministrazione. In un “orizzonte di analisi, di responsabilità, di azione”, come ha evidenziato D’Urso aprendo la sessione – moderata dal vice preside Giovanni Di Lorenzo e introdotta dalla direttrice del Dipartimento di Scienze politiche Maria Cristina Marchetti – “parlare di ‘donne e istituzioni’ significa interrogarsi sullo stato effettivo della nostra democrazia. La rappresentanza paritaria, l’accesso equo ai luoghi decisionali, la possibilità concreta di influire sui processi pubblici non sono mere attestazioni simboliche: sono criteri fondamentali per misurare la qualità di un sistema democratico”. E “la democrazia paritaria resta, troppo spesso, un obiettivo da raggiungere piuttosto che una realtà consolidata”.
Il quadro è allarmante per disuguaglianze strutturali ma la formazione è lo strumento più potente per accorciare il divario di genere nel mondo del lavoro. “Investire in istruzione significa investire in equità, mobilità sociale, sviluppo”, ha spiegato ancora il preside. Evidenziando, dati alla mano, che, “secondo il rapporto Eurostat 2024, in Italia il tasso di occupazione femminile si attesta al 57,4%, contro una media europea del 70,8%. Mentre, tra le donne laureate, il tasso sale al 79,3%, avvicinandosi alla media UE (84,3%) e riducendo sensibilmente il gap con gli uomini”. “Se una laurea può cambiare il destino lavorativo di una donna, allora è su quel destino che dobbiamo investire. Con politiche strutturali e inclusive”, ha affermato.
Nell’accesso a ruoli di responsabilità apicale, anche in possesso di titoli di studio elevati, tuttavia, “il Rapporto Cnel-Istat 2025 conferma che il soffitto di cristallo in Italia è ancora ben lontano dall’essere infranto. Nonostante una crescente presenza di donne competenti nei diversi ambiti professionali, la loro rappresentanza resta fortemente limitata. Le donne occupano ancora una quota minoritaria nei luoghi decisionali, tanto nella politica nazionale e locale, quanto nella dirigenza pubblica e privata”.
Una “segregazione verticale persistente”, dunque, “frena il riconoscimento del talento femminile nei ruoli di vertice, nonostante le evidenze dei benefici – anche economici – della leadership femminile”, spiega ancora D’Urso richiamando il Glass-Ceiling Index 2025 del The Economist, che colloca l’Italia al 16° posto su 29 Paesi OCSE per presenza femminile nei ruoli professionali apicali. Il mondo accademico, dove la divaricazione inizia dai ricercatori a tempo determinato, prosegue per i professori associati e si accentua per i docenti ordinari, sta lentamente cambiando volto, con una presenza di rettrici ancora molto bassa (20 su 99 università) ma raddoppiata negli ultimi due anni. Un passo deciso verso una leadership più rappresentativa.
Consapevolezza di sé, formazione e competenza, volontà e impegno ma anche maggiore capacità di “fare rete” rafforzando la solidarietà femminile, sono i punti chiave del riconoscimento e del successo, come hanno testimoniato al convegno le figure istituzionali femminili, offrendo la propria esperienza umana e professionale e sottolineando il valore aggiunto del contributo delle donne, fatto anche di dialogo, confronto e sensibilità, contro una disparità che parte sin dal linguaggio. Interventi appassionanti, ciascuno nella specificità dei diversi contesti. Da Maria Elisabetta Casellati, ministro per le riforme istituzionali già prima donna presidente al Senato a Maria Rosaria San Giorgio, giudice della Corte Costituzionale, a Maria Teresa Sempreviva, Prefetto e capo di Gabinetto del ministro dell’Interno, Maura Caprioli, consigliere della Corte di Cassazione e Paola Briguori, consigliere della Corte dei Conti già presidente associazione magistrati della Corte.
Ostacoli alle pari opportunità, per le qualificate relatrici, da rimuovere non solo con politiche mirate, in particolare, alla conciliazione lavoro e famiglia, ma da combattere soprattutto attraverso una nuova cultura della società e delle relazioni e infrangendo stereotipi. Una necessità di equità anche nella coppia, richiamando l’analisi di Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia 2023, sui fattori chiave delle differenze di genere nel mercato del lavoro e le ragioni del cambiamento.
“Affrontare il gender gap come priorità nazionale” è, dunque, la sfida lanciata dal prof. D’Urso riconoscendo che “l’uguaglianza di genere non è soltanto una questione di giustizia, ma anche di crescita economica, produttività e competitività internazionale: é “nelle sfide che troviamo la nostra forza: siamo pronti a costruire ponti dove altri alzano muri. Occorrono misure articolate: più accesso all’istruzione universitaria per le ragazze, soprattutto nelle aree del Sud Italia dove i tassi di partecipazione sono ancora bassi; politiche di conciliazione più forti per le madri che lavorano; formazione per le donne che vogliono reinserirsi nel mercato del lavoro, e un sistema di welfare che non consideri il lavoro femminile come una “variabile di aggiustamento”, ma come un pilastro dello sviluppo sostenibile”, afferma il preside.
“Perché non esiste futuro per un Paese che non valorizza il talento delle donne. E perché la vera parità non è un premio, ma un diritto. Da realizzare, non solo da proclamare”, sono ancora le sue parole. Una consapevolezza non più rinviabile. Riflettere sulla fragilità della democrazia per governare i cambiamenti e immaginare un modello sociale che nei processi valorizzi il ruolo femminile. Una sfida non solo per donne.