L’Europa non può più limitarsi a osservare la ridefinizione degli equilibri mondiali. Il caso Iran dimostra che il potere si esercita con chiarezza, deterrenza e integrazione tra tecnologia e volontà politica. Gli strumenti esistono. Ciò che manca è una visione condivisa, la volontà di agire e un coordinamento efficace. L’analisi del generale Pasquale Preziosa
Il confronto tra Iran e Israele, sostenuto dalla proiezione tecnologica e strategica americana, non rappresenta solo un conflitto regionale: è il primo banco di prova concreto della nuova era nucleare e multipolare. Tuttavia, l’insegnamento che l’Europa deve trarne va ben oltre l’ambito militare: riguarda la capacità di affrontare potenze autoritarie e sistemiche (Iran, Russia, Cina) in una competizione globale che intreccia armamenti, energia, metalli critici e tecnologie duali come i microchip.
L’Unione Europea si trova oggi immersa in un ecosistema conflittuale integrato, in cui non è più possibile separare sicurezza militare, autonomia industriale, sovranità tecnologica e resilienza economica. Non basta più delegare la protezione militare agli Stati Uniti né limitarsi alla diplomazia: occorre costruire una postura autonoma, credibile, integrata e interoperabile, anche oltre il tradizionale ombrello Nato. Diplomazia e deterrenza sono due facce della stessa medaglia. Nella nuova era nucleare, la sola diplomazia, priva di una leva strategica credibile, si rivela inefficace. Il caso iraniano dimostra che il dialogo, senza capacità di pressione coercitiva, concede tempo prezioso ai regimi autoritari per consolidare le proprie capacità nucleari, militari e tecnologiche. Lo stesso vale per l’Europa, che non può più permettersi una postura da semplice osservatrice. Dinanzi a Pechino (tecnologie strategiche e sovranità digitale), Mosca (energia e cyberspazio) e Teheran (missili e droni), l’Ue deve dotarsi di strumenti di deterrenza economica, militare e normativa, partendo da un presupposto chiave: la tecnologia è oggi un moltiplicatore strategico del potere. Come evidenziato dal conflitto israelo-iraniano, la superiorità tecnologica è in grado di alterare profondamente l’equilibrio strategico.
Per l’Europa, ciò impone tre priorità operative: investire in capacità militari autonome ad alta tecnologia (droni, intelligenza artificiale, guerra elettronica), rilanciare un ecosistema europeo dei semiconduttori, rafforzando l’attuazione concreta dell’Eu Chips Act, ridurre la dipendenza dai metalli critici cinesi tramite investimenti in miniere, riciclo e supply chain alternative (Africa, Canada, Australia).
Le alleanze funzionano se tra pari e l’autonomia è la condizione del potere geopolitico. Il modello israelo-americano, in questo momento, dimostra che la cooperazione tra partner dotati di capacità autonome è molto più efficace rispetto a relazioni asimmetriche basate sulla dipendenza. Per l’Unione Europea, ciò dovrà comportare il rilancio della difesa europea (Pesco, Edf) non come alternativa alla Nato, ma come componente autonoma e complementare, la costruzione di alleanze industriali intra-europee, superando rivalità interne e puntando su sinergie strategiche (es. Airbus, Eurodrone, Gaia-X), la rinegoziazione della relazione transatlantica da una posizione di forza, e non di subalternità. Serve allo scopo una governance strategica e una maggiore coesione istituzionale. Il successo israeliano non dipende solo dalla tecnologia, ma dalla coesione tra leadership politica, forze armate e intelligence.
L’Europa, invece, soffre ancora una marcata disarticolazione tra Commissione, Stati membri, industria e comando operativo. Per colmare questo gap servono: una governance europea di sicurezza e difesa capace di superare l’attuale paralisi decisionale, un comando integrato europeo per affrontare crisi ibride e tecnologiche e un coordinamento reale e strutturato tra intelligence civile, industriale e militare. Solo l’autonomia strategica potrà garantire la libertà geopolitica dell’Unione. Solo una condizione europea autenticamente autonoma potrà contrastare la diplomazia coercitiva cinese, grazie a controlli sulle esportazioni strategiche e sulla proprietà intellettuale nonché rafforzare la sovranità energetica, investendo nel nucleare di nuova generazione, nell’idrogeno e nella difesa delle infrastrutture critiche. Oggi è necessario resistere alla frammentazione del mercato globale, dotandosi di strumenti di risposta rapida contro dumping, sanzioni extraterritoriali e ricatti tecnologici. Serve una dottrina europea per la nuova era multipolare.
L’Europa non può più limitarsi a osservare la ridefinizione degli equilibri mondiali. Il caso Iran dimostra che il potere si esercita con chiarezza, deterrenza e integrazione tra tecnologia e volontà politica. Gli strumenti esistono. Ciò che manca è una visione condivisa, la volontà di agire e un coordinamento efficace. La nuova era nucleare è anche una nuova era industriale e tecnologica. Se l’Unione Europea non afferma una dottrina matura di autonomia strategica, rischia di essere travolta da una competizione sistemica che si gioca su chip, batterie, terre rare, droni e satelliti molto prima che nei parlamenti o nei vertici diplomatici.