Le biotecnologie sono ormai un pilastro trasversale dello sviluppo globale. Al convegno organizzato da Assobiotec, istituzioni ed esperti hanno discusso l’urgenza di un quadro normativo europeo solido e competitivo alla luce del Biotech act previsto per il 2026. L’obiettivo è quello di rendere Europa e Italia poli di innovazione e competitività
Come rendere l’Europa un polo globale per lo sviluppo delle biotecnologie? È la domanda al centro del convegno “Biotech Act: opportunità e sfide per l’Italia e per l’Europa nel nuovo scenario geopolitico” organizzato oggi a Roma da Assobiotec, che ha riunito istituzioni italiane ed europee, industria ed esperti per discutere le sfide e le opportunità legate al futuro Biotech act dell’Unione europea. Il provvedimento, atteso nel 2026, punta a delineare un quadro normativo stabile e competitivo per uno dei settori tecnologici più promettenti del secolo, ma arriva in un momento in cui la partita globale è già ampiamente in corso. Al centro del dibattito, un’urgenza condivisa. Non perdere il passo in un settore che non è solo innovazione scientifica, ma leva strategica per salute, ambiente, competitività industriale e – non da ultimo – sicurezza nazionale.
IL PESO GLOBALE
Le biotecnologie, spesso invisibili, stanno diventando essenziali in settori sempre più diversi. Dalla salute all’agricoltura, dall’ambiente all’industria, fino alle applicazioni marine, particolarmente rilevanti per un Paese come l’Italia. “C’è bisogno di parlare di biotecnologie, perché crediamo profondamente che abbiano un ruolo fondamentale nella nostra vita, soprattutto negli anni a venire. Più ne comprendiamo l’impatto più saremo in grado di accompagnarle nel modo migliore possibile nella nostra società”, esordisce così Fabrizio Greco confermato presidente Federchimica Assobiotec per il triennio 2025-2028. Ma non è solo una questione di pervasività, anche di impatto economico crescente. Entro il 2030 il valore globale del biotech è destinato a più che raddoppiare. Il primo comparto resta quello della salute, con 692 miliardi di dollari di fatturato nel 2023. Ma l’espansione è trasversale. Ad, esempio, più di 13 milioni di lavoratori in agricoltura, in tutto il mondo, usano biotecnologie per aumentare la resa, prevenire i danni ambientali e ridurre l’impatto climatico. Gli Stati Uniti detengono il 60% del mercato globale, ma la Cina, con il piano Made in China 2025 – lanciato ormai dieci anni fa – ha già raggiunto un peso analogo a quello dell’intera Unione europea, attestandosi intorno all’11%. “La Cina ha preso una consapevolezza della sicurezza nazionale che comprende anche la sicurezza tecnologica e quindi le biotecnologie”, ricorda Alessandro Aresu, scrittore e consigliere scientifico di Limes. E anche Washington le ha inserite nella sua strategia di national security, con piani come la National biodefense strategy e il più recente Bold goals for US biotechnology.
IL RISVEGLIO (?) EUROPEO
L’Europa, dal canto suo, ha iniziato a inseguire gli altri player. Dopo il programma Step del 2023, è arrivato nel 2024 il documento Building the future with nature, che prepara il terreno per il Biotech act europeo, annunciato per il 2026. Le biotecnologie rappresentano “una delle aree tecnologiche più promettenti di questo secolo”, si legge nella strategia dell’Ue. E “la rivoluzione biotecnologica è già in atto”, dichiara il commissario alla Salute e al benessere animale Olivér Várhelyi, intervenuto con un videomessaggio. Si tratta in fatti di uno dei settori più produttivi dell’Unione, “con una crescita doppia rispetto al resto dell’economia e più di 900mila addetti”, sottolinea.
LA SITUAZIONE NEL NOSTRO PAESE
E in Italia? “Difficile quantificare quanta biotecnologia ci sia davvero”, ammette Fabrizio Greco. Per questo, un progetto pilota lanciato da Assobiotec basato sui codici Ateco ha identificato circa 5mila imprese attive, con un fatturato complessivo di 50 miliardi e 80mila addetti. “È un settore più diffuso di quanto si pensi, ma meno valorizzato che altrove”. Secondo Marco Simoni, professore di Politica economica presso l’Università Luiss, “la sfida è imparare a guardarci dentro e individuare i settori strategici su cui puntare”. E Claudia Biffoli, direttore divisione biotecnologie e farmaceutica presso la direzione generale per le nuove tecnologie abilitanti del ministero delle Imprese e del made in Italy ricorda come il progetto Made in Italy 2030 – con Libro verde, consultazione pubblica e futuro Libro bianco – nascono dall’esigenza di “ridefinire la politica industriale nazionale, puntando su innovazione, impatto ambientale e sicurezza”.
UN PIANO PER IL DOMANI
Per affrontare il futuro, servono visione e investimenti. E su questo Assobiotec ha sviluppato un Biotech journey, per arrivare da idee a soluzioni. Al primo posto del percorso la formazione, a cui deve essere però accompagnata la possibilità di fare ricerca e mettere a frutto le competenze del paese. “L’Italia spende l’1,3% del Pil in ricerca – fra pubblico e privato – contro oltre il 2% della Francia, il 3% della Germania e il 3,5% degli Stati Uniti. Abbiamo ottimi ricercatori, gli italiani sono secondi per premi Erc, ma quinti per grant ricevuti”, nota Greco. “Ciò significa che le eccellenze vanno fuori dal nostro Paese”. Anche nella trasformazione delle idee in brevetti, l’Italia resta indietro. Seconda per pubblicazioni, quarta per brevetti europei, “senza considerare che tante idee vanno da Europa a Usa”, aggiunge il presidente di Assobiotec. Le start-up devono infatti poi avere il supporto necessario “per poter crescere, e maturare esperienze di scala” garantendo produzione e sviluppo che in questo settore richiedono competenze altamente specializzate. E poi l’ultimo nodo. Le idee una volta sviluppate e industrializzate devono poter essere accessibili da chi ne può beneficiare. “Abbiamo problemi di carattere regolatorio che speso ostacolano l’arrivo di queste soluzioni a chi potrebbe beneficiarne” spiega Greco, e quindi servono “regole semplici e stabili”.
IL RUOLO DELLA SEMPLIFICAZIONE
“La semplificazione che soprattutto per le piccole realtà diventa questione di vita e di morte”, sottolinea Mauro Magnani, Componente del Comitato nazionale per la Biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della presidenza del Consiglio dei ministri. “E semplificazione non vuol dire solo deregolazione” aggiunge il professor Simoni. “Parliamo di semplificazioni intelligenti”, spiega, sottolineando la necessità di “mantenere una buona quota di regole europee che fanno parte del nostro modo di vedere industria e società ma evitare che queste diventino blocchi totali all’industria”.
BIOTECH ACT: UNA CORSA CONTRO IL TEMPO
“Il Biotech Act è un’opportunità – afferma il presidente di Assobiotec – ma dobbiamo essere parte attiva del processo sin dall’inizio, capire cosa accelerare anche a livello nazionale”. Matteo Borsani, responsabile Affari europei di Confindustria, sottolinea i due pilastri su cui si muove Bruxelles: “trasversalità e contesto favorevole alle imprese”. Ma avverte: “Servono tempi rapidi. Una normativa europea impiega in media due anni per produrre effetti. Non possiamo permetterci di arrivare tardi”. Anche Pernille Rype Elley, della European biosolutions coalition, invoca rapidità: “Dobbiamo agire ora. L’Europa ha startup innovative che rischiano di crescere altrove”, augurandosi “un ampio biotech act” che includa tutti i settori. “Lanceremo un tavolo tecnico anche con Assobiotec per arrivare preparati alla meta”, spiega Biffoli. Un passo importante per presidiarlo e incidere sui contenuti del futuro quadro normativo – questa è l’opportunità secondo la rappresentante del Mimit. Perché, come ricorda Maria Cristina Porta, direttore generale Fondazione Enea tech e biomedical, “il biotech non è un verticale, è un sistema complesso, fatto di interconnessioni esponenziali”.
AI E INTERDISCIPLINARIETÁ
La frontiera, oggi, è quella dell’integrazione: intelligenza artificiale, robotica e biologia sintetica. “La synbio AI ha ormai trentatré strutture nel mondo che rappresentano questo contesto innovativo. È questa la direzione in cui le biotecnologie si stanno muovendo”, spiega Magnani. Per Simoni, il punto chiave è creare un ecosistema di “enabler per l’intelligenza artificiale, fondamentale per l’industria biotecnologica”