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Chi ama la libertà ama la Nato. Il commento di Arditti

L’alleanza è il pilastro più solido della sicurezza euro-atlantica. Ma per continuare a esserlo deve diventare qualcosa di più: una piattaforma politica globale capace di leggere il mondo e agire con rapidità e coerenza

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, pone la questione con chiarezza: la Nato deve aggiornare la propria missione strategica. Non è solo una questione di bilanci o di capacità militari. È una questione di visione. E qui occorre essere netti: le sfide del futuro non stanno più dentro i confini storici dell’Alleanza. Sono globali. E impongono una ridefinizione degli orizzonti politici, operativi e geografici.

L’architettura della Nato nasce nel 1949 per garantire sicurezza collettiva agli Stati Uniti, al Canada e all’Europa occidentale. La minaccia si chiama Unione Sovietica. La risposta è un’alleanza militare transatlantica. Oggi, quella minaccia assume forme diverse, ma non scompare: la Russia resta un fattore destabilizzante, come dimostra ogni giorno la guerra in Ucraina. Eppure, fermarsi a questo significa ignorare la realtà.

Le principali fonti di instabilità arrivano da altri quadranti: il Medio Oriente, l’Africa, l’Indo-Pacifico. Non si tratta di “espandere” l’Alleanza con logiche neocoloniali, ma di riconoscere che i confini della sicurezza collettiva non coincidono più con quelli geografici. Se l’Occidente vuole continuare a contare, deve saper interpretare – e affrontare – le crisi là dove nascono.

Il Medio Oriente è una regione-chiave per la stabilità globale. I conflitti irrisolti, la minaccia permanente del terrorismo, le tensioni tra Israele e Iran, l’attivismo delle potenze regionali come Turchia e Arabia Saudita impongono un coinvolgimento più strutturato dell’Alleanza. E poi c’è la Libia: un dossier che pesa come un monito. A tredici anni dall’intervento militare occidentale, il Paese risulta frammentato, instabile, e – quel che è peggio – spartito tra la Russia a Est e la Turchia a Ovest. È una sconfitta bruciante per l’Occidente, che apre una crisi e non riesce a gestirne le conseguenze. L’assenza di un’iniziativa atlantica forte e coerente lascia spazio a logiche di potenza che vanno nella direzione opposta rispetto alla stabilizzazione.

Nel Mar Rosso, le milizie Houthi mettono a rischio le rotte marittime del commercio globale. Nel Sahel, il ritiro francese spalanca le porte all’espansionismo russo e alla penetrazione cinese. Nell’Indo-Pacifico, la competizione tra Stati Uniti e Cina definisce già oggi i futuri equilibri planetari. E non è più pensabile che la Nato si occupi soltanto del “giardino di casa” europeo mentre tutto il resto brucia.

Molti Paesi chiedono un legame più stretto con l’Alleanza. Il Giappone e la Corea del Sud sono partner regolari. L’Australia partecipa a numerose missioni. Singapore osserva con attenzione. La Nuova Zelanda, la Georgia, l’Ucraina e perfino Paesi africani come il Kenya guardano a Bruxelles con interesse crescente. Non perché vogliano diventare membri domani, ma perché riconoscono nella Nato un punto di riferimento in un mondo frammentato.

Questo non legittima un allargamento indiscriminato. Ma rende evidente che il perimetro di responsabilità dell’Alleanza non può essere statico. Deve evolvere. E per farlo serve un nuovo passo politico. Non solo più spesa per la difesa – che pure è indispensabile – ma una visione comune capace di aggiornare il concetto stesso di sicurezza condivisa.

Il vertice Nato di L’Aja, in programma il 24 e 25 giugno 2025, rappresenta un appuntamento cruciale per ridefinire la politica di difesa dell’Alleanza nel nuovo contesto strategico. Le idee da mettere sul tavolo sono semplici ma decisive: l’instabilità globale si governa con alleanze flessibili e intelligenti; la difesa dei valori democratici non ha confini rigidi; il nuovo ordine mondiale richiede un Occidente capace di fare squadra, anche fuori dal proprio cortile tradizionale.

Non è facile, e non è indolore. Ma non esistono alternative. La Nato resta oggi il pilastro più solido della sicurezza euro-atlantica. Ma per restarlo, deve diventare qualcosa di più. Una piattaforma politica globale capace di leggere il mondo e agire con rapidità e coerenza. Non per esportare le democrazie, ma per difenderle. Non per omologare i modelli politici, ma per proteggere uno spazio comune di libertà, diritti e responsabilità. È questo, oggi, il compito storico dell’Alleanza Atlantica.


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