Nella guerra tra Israele e Iran, Pechino non cerca lo scontro, ma ne sfrutta le crepe. E se il prezzo è qualche ambiguità, l’interesse nazionale viene comunque prima di tutto
Mentre la tensione tra Iran e Israele cresce, la Cina si muove con una strategia calibrata che unisce dichiarazioni diplomatiche, protezione dei propri interessi economici e ambiguità operativa. Ufficialmente, Pechino promuove la de-escalation e il ritorno al dialogo, ma nei fatti adotta una postura che appare sempre più orientata verso Teheran, pur senza comprometterne la posizione internazionale. La linea cinese è il tema di questa settimana della newsletter “Indo-Pacific Salad”.
Il 16 giugno il Global Times, organo di diffusione narrativa del Partito comunista cinese, ha pubblicato un editoriale in cui afferma che “la forza non può portare pace in Medio Oriente”, invocando la diplomazia come unica via possibile, anche sul tema nucleare. Due giorni dopo, il ministro degli Esteri Wang Yi ha definito “inaccettabili” gli attacchi israeliani contro l’Iran e ha ribadito il sostegno della Cina alla sovranità iraniana. Una linea coerente con la retorica già adottata sulla guerra di Gaza e su quella in Ucraina: una neutralità solo apparente, di fatto allineata con le potenze ostili all’Occidente.
Sul piano multilaterale, Pechino ha spinto per una condanna di Israele attraverso l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, di cui l’Iran è membro. L’iniziativa ha provocato malumori, in particolare dall’India, partner militare di Israele e rivale strategico della Cina.
Oltre la retorica, Pechino è profondamente interessata a preservare la stabilità dell’Iran, che considera un partner logistico ed energetico essenziale. L’Iran è un nodo centrale nella Belt and Road Initiative, rappresentando l’unico corridoio terrestre stabile tra Asia orientale ed Europa che non passi per rotte controllate dagli Stati Uniti. Circa il 90% dell’export petrolifero iraniano attualmente è diretto verso la Cina, spesso tramite società che aggirano le sanzioni statunitensi. Inoltre, l’accesso cinese al petrolio del Golfo – da cui proviene metà delle importazioni – rende cruciale mantenere aperto lo Stretto di Hormuz. Un’escalation che minacciasse quella rotta energetica sarebbe un danno diretto per l’economia cinese.
In questo contesto, un nuovo elemento solleva interrogativi. Negli ultimi giorni, tre cargo cinesi Boeing 747 hanno volato verso l’Iran con piani di volo dichiarati per il Lussemburgo, ma sono scomparsi dai radar vicino allo spazio aereo iraniano. Il tipo di velivolo e la deviazione dalla rotta sollevano sospetti su possibili trasferimenti di materiali dual-use, analoghi a quelli già osservati nel supporto indiretto fornito dalla Cina alla Russia in Ucraina.
Pechino smentisce ogni coinvolgimento diretto, ma la sua strategia si conferma coerente: evitare esposizioni formali, difendere gli interessi energetici e infrastrutturali, alimentare una narrativa anti-occidentale utile nel dialogo con il Sud globale. In questa logica, l’Iran resta un alleato tattico, non necessariamente un partner strategico a lungo termine, ma funzionale nel creare pressione sugli Stati Uniti e consolidare un sistema multipolare in cui la Cina punta a giocare da mediatore senza rinunciare alla leva del potere.
Ma attenzione, perché Tuvia Gering (esperto di Cina in Medio Oriente di Inss e Atlantic Council) osserva che diversi analisti cinesi stanno anche valutando le debolezze iraniane, e dunque – nonostante la retorica – Pechino potrebbe attendere gli sviluppi e, se Israele dovesse dominare sensibilmente il confronto militare, valutare una de-escalation diplomatica e narrativa verso lo Stato ebraico.