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Lo sbalorditivo cambiamento della Cina e la sfida dello sviluppo. L’analisi di Zecchini

La Cina sta vivendo una trasformazione epocale, passando da una società tradizionale a una moderna e tecnologicamente avanzata. Questo cambiamento porta con sé opportunità straordinarie, ma anche sfide significative, come il controllo sociale e le tensioni geopolitiche. Il futuro del Paese dipenderà dalla sua capacità di bilanciare crescita economica e stabilità interna. L’analisi di Salvatore Zecchini

Non vi è immagine più vivida dell’impetuoso cambiamento della Cina che ripercorrere oggi un tour compiuto quaranta anni fa o anche più recentemente nel 2010, e farne i confronti. Si ha la sensazione di un Paese completamente rinnovato, modernizzato, con una crescente impronta del modo di vivere dell’americano comune, un modello verso cui, a detta di tanti cinesi, la gente delle grandi città aspira. Lo si nota nei negozi, nelle loro insegne, nei fast food, nei grandi e meno grandi supermercati, nell’abbigliamento e nei luoghi di divertimento, oltre che nelle università e nei centri del sapere e della ricerca. Per le strade scorrono fiumi di auto e moto silenziose perché a trazione elettrica, il tutto sotto l’occhio vigile delle telecamere, appostate ovunque e in sintonia con la diffusa penetrazione della digitalizzazione nel vivere sociale. Neanche negli Stati Uniti si nota un impiego così diffuso dei mezzi digitali, che se, da un lato, rende più agevole e spedito il vivere quotidiano e il lavoro, dall’altro lato, consente un controllo capillare degli individui.

A differenza degli anni Ottanta, nelle città tutto è ordinato, tenuto pulito, con uno spiccato gusto estetico del verde, e con grandiose infrastrutture, nelle stazioni ferroviarie, nei porti, negli aeroporti e nei trasporti urbani. Sembra quasi ovvio quando si tratta di servire una massa imponente di popolazione all’insegna dell’efficienza. Il passaggio alla trazione elettrica è così esteso che anche nelle piccole comunità montane sono presenti le colonnine elettriche di ricarica. Lo sviluppo urbano è altrettanto sbalorditivo. A Shanghai la zona e i padiglioni dell’Expo del 2020 sono stati trasformati in un grande quartiere urbano dalle straordinarie architetture innovative. Non solo Shenzhen e nella lunga fascia costiera, ma all’interno i centri urbani si sono dilatati. Xian, la città del famoso esercito di terracotta, è passata in meno di quattro decenni da circa 1,8 milioni di abitanti a più di 8,5 milioni e da attività rurali, manifattura tradizionale e turismo a hub tecnologico, con manifattura ad alta tecnologia, innovazione, centri di ricerca, diverse università, stabilimenti per produrre missili e armamenti, e punto di attrazione di lavoro dalla lontana costa.

Con il progressivo abbandono delle campagne, le città hanno conosciuto uno straordinario sviluppo edilizio. In ogni città sono sorti tanti grattacieli di oltre 30 piani, che si ergono come torri inutilmente elevate in un territorio pianeggiante su cui non manca lo spazio per edificare edifici più bassi. La convenienza della riduzione dei costi nell’edificare in verticale piuttosto che in orizzontale fa di queste torri dei falansteri dove si affastella una popolazione che da poco tempo può disporre di redditi sufficienti per abbandonare le vecchie, piccole abitazioni cinesi, agglomerate densamente dietro cortine di mura che ne limitano il respiro. Il nuovo benessere, tuttavia, non si è propagato abbastanza da permettere di assorbire l’accelerata offerta di nuove abitazioni. Si scorgono, quindi, con una certa frequenza alte torri lasciate incompiute e disabitate, quasi scheletri di cemento e acciaio a testimoniare l’eccesso di ottimismo nel costruire e la conseguente crisi da sovrapproduzione del settore.

Le infrastrutture di comunicazione costituiscono un punto di forza del Paese tanto per l’economia che per la popolazione. Le connessioni digitali sono diffusissime e più avanzate di quelle europee, le linee ferroviarie ad alta velocità molto più estese delle europee (per non confrontarle con quelle americane che sono mal tenute), servono con efficienza masse imponenti di viaggiatori. I collegamenti aerei risultano di prim’ordine avvalendosi di aeroporti e terminali modernissimi, e i porti sono attrezzati con i più moderni mezzi per movimentare in maniera efficiente merci e passeggeri. La modernizzazione con vasto impiego delle tecnologie digitali ha reso più fluidi gli spostamenti dei cinesi, il travaso di conoscenze e saperi attraverso il territorio, e il buon funzionamento del mercato del lavoro per ridistribuire le forze di lavoro tra aree a seconda della domanda, superando le restrizioni governative agli insediamenti abitativi.

Dietro tanto progredire e innovare si cela, nondimeno, l’altro volto, quello più problematico della modernità. Il controllo minuzioso della società tende a tarpare le ali alla libera espressione della personalità e della creatività in ogni attività, sia essa scientifica che culturale. I percorsi dello sviluppo umano e sociale tendono a essere incanalati secondo le linee dettate da una leadership ferma nell’ideologia ma flessibile nella pratica e tecnologica nel metodo di governo. Le redini del Paese sono nelle mani di persone ben preparate, che guardano ai risultati più che ai dettami ideologici del partito unico. Lo si è visto quando il presidente Xi Jinping ha tentato di riportare imprese e società verso l’alveo dei dirigismi “comunisti”: l’effetto è stato rapidamente così negativo da costringere a fare marcia indietro dopo poco tempo.

Alcuni freni, tuttavia, restano in vigore. Per esempio, la stampa e le pubblicazioni dell’Occidente non sono più ammesse nel Paese, difficile trovare una libreria, quasi impossibile un chiosco di vendita dei giornali, perfino nella più aperta Shanghai. Una parziale, limitata eccezione è fatta nei centri del sapere per essere sempre in grado di beneficiare delle innovazioni occidentali. Il controllo sui media è capillare e la censura estesa. Eppure nelle grandi città la conoscenza dell’inglese e delle lingue straniere è più diffusa che nel passato, specialmente tra i giovani. È possibile, per esempio, avere guide cinesi che parlano un buon italiano, pur non essendo mai state in Italia. Una contraddizione come tante altre, quale la possibilità di leggere i giornali italiani sul web, sempre che la censura lo permetta.

Il controllo sulla società tende a farsi più stretto nella fase attuale di difficoltà dell’economia e di tensioni internazionali, che possono far dilatare il malcontento sociale. Il rallentamento della crescita economica e delle nascite hanno riportato l’attenzione sui contraccolpi di un progredire a lungo, a grande velocità, ovvero sull’altra faccia della modernità e del benessere perseguiti a tappe forzate. Con l’incremento dei redditi milioni di cinesi sono usciti dalla povertà e non sono disposti a ingrandire il nucleo familiare pur avendone la facoltà da quando nel 2016 il limite alle nascite è stato elevato a due figli per famiglia. Il commento che si sente più frequentemente dalla gente nelle grandi città è che non desiderano allargare la famiglia se non possono preservare un buon tenore di vita.

Nelle zone rurali i livelli di reddito sono decisamente più bassi (2,57 volte nel 2021), benché siano migliorati rispetto a decenni prima, ma non abbastanza da frenare la tendenza a cercare lavoro nelle grandi città. Il governo ostacola questo movimento con rigidi vincoli che rappresentano una limitazione delle libertà personali, ma non riesce a spegnere i tentativi dei cinesi di lavorare e abitare clandestinamente nelle città.

La digitalizzazione spinta è anche strumento per controllare la popolazione e prevenire attentati. A Pechino come a Shanghai i controlli sono multipli per accedere ai luoghi aperti al pubblico. Ne è esempio la Piazza Tienanmen, che da immensa distesa aperta al libero passeggiare è stata trasformata in un fortino a cui si accede dopo minuziosi controlli e spogliati di qualsiasi strumento che possa servire a inscenare proteste, inclusi accendini e libri. Il ricordo della rivolta del 1989 è ben presente nella mente delle autorità e molte quindi le precauzioni per impedire il ripetersi.

A parte il timore di rivolte, attualmente il principale problema sta nel rischio che a seguito del nuovo protezionismo dei mercati in America e in Europa avverso la concorrenza cinese, lo sviluppo economico possa ristagnare e provocare un’impennata della disoccupazione, valutata ufficialmente attorno al 5% negli ultimi anni. Si aggiunga che, mentre le nuove generazioni aspirano a impieghi migliori e si impegnano nell’istruzione universitaria e avanzata, le opportunità di un lavoro adeguato si restringono. Il modello di sviluppo della Cina, imperniato su investimenti, esportazioni di beni e capitali, insieme all’impegno nella ricerca e nell’innovazione, sembra quindi poter andare in crisi e richiedere un fondamentale ripensamento.

Lo shock della pandemia ha lasciato strascichi negativi per la crescita, il mercato immobiliare e le finanze pubbliche dei governi locali. A differenza degli Stati Uniti e dell’Europa il prodotto nazionale non ha recuperato lo slancio degli anni pre-pandemia. Il Fondo monetario internazionale stima che il ritardo della dinamica della produzione effettiva rispetto al potenziale (l’output gap) si sia ampliato da -3,5% nel 2020 al -5,3% nel 2025, in contrasto con la riduzione osservata in Europa (da -7,2% a -2,5%) e la crescita eccedente il potenziale che si registra negli Stati Uniti (da -4,1% a +3,6%). Spostare il modello di crescita dall’assetto esistente per renderlo meno dipendente dalla domanda estera e più fondato sulla dinamica dei consumi interni, con il corollario di impiego del potenziale produttivo rimasto inutilizzato, si è rilevato sempre più arduo nel contesto attuale di calo della fiducia dei consumatori nelle prospettive di sviluppo con i riflessi di elevati tassi di risparmio tra le famiglie e di tendenze alla deflazione.

Diversi indicatori del mercato del lavoro segnalano entrambi il ristagno delle assunzioni, attualmente su livelli storicamente bassi, e stipendi in calo per i nuovi assunti. La produttività del lavoro non cresce abbastanza per il peso dei vincoli al miglioramento dell’allocazione del lavoro, particolarmente nel settore dei servizi. Nei servizi pubblici si nota un eccesso di occupati in lavori a bassa qualifica, che sarebbero meglio gestiti mediante il ricorso alle tecniche digitali in cui il Paese primeggia. Evidentemente il governo cerca di tenere il maggior numero di forze lavoro in occupazione anche a costo della produttività. Ridurre i vincoli nel settore dei servizi in generale potrebbe, invece, condurre a una migliore distribuzione della forza lavoro e a sostenere l’ascesa della produttività. La politica industriale dovrebbe indirizzarsi anche verso questo obiettivo piuttosto che rivolgersi principalmente a promuovere i settori innovativi e la ricerca su determinati crinali tecnologici.

Anche in quest’ultimo campo i risultati appaiono in chiaroscuro. Nella classifica dei Paesi che annualmente avanzano domanda per brevetti la Cina si colloca al primo posto per quantità, superando largamente gli Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud che seguono nell’ordine. Se si guarda, peraltro, al numero di citazioni dei brevetti, si rileva che è più basso di quelle di altri Paesi, condizione che potrebbe essere attribuita alla relativamente minore qualità del patrimonio brevettuale cinese. L’innovazione rimane in ogni caso al centro delle politiche governative con un preciso indirizzo a sostenere i settori dell’auto elettrica, i semiconduttori, le energie rinnovabili, lo spazio, i materiali, le ICT, l’industria high-tech e la sanità. Non mancano tuttavia le contraddizioni. Un esempio: si impiegano innovativi mezzi pesanti a trazione elettrica per il trasporto di ingenti quantitativi di carbone dalle miniere, ossia si aumenta l’estrazione di carbone inquinante per potenziare la produzione elettrica che oltre a migliorare la sicurezza nazionale nel settore energetico serve ad alimentare la stessa trazione elettrica.

Qual che sia l’esito dei negoziati commerciali con gli Stati Uniti e gli altri Paesi, la dipendenza dalla domanda estera si pone come fattore di vulnerabilità per lo sviluppo economico cinese. Appare, quindi, consigliabile il passaggio a un modello di crescita più sostenibile nella composizione tra esportazioni nette, investimenti e consumi. Nell’attesa di compiere questa transizione, si aprono ai governanti diverse opzioni. È possibile incentivare la capacità di spesa di ampi strati della popolazione attraverso il rafforzamento della rete di protezione sociale e l’ampliamento dei redditi disponibili delle famiglie. Con una politica monetaria accomodante si dovrebbe mirare a risolvere la crisi dell’immobiliare e agevolare la diffusione della proprietà abitativa. Se nelle relazioni commerciali con gli Stati Uniti è difficile nel breve termine ridurre l’interdipendenza che si è generata tra i due sistemi produttivi, è fattibile per altro verso diversificare i mercati di sbocco verso altre aree in Asia, Americhe, Australia e Africa. Sussistono anche altre possibilità d’intervento inesplorate per perseguire l’obiettivo di prolungare il miracolo economico della crescita.

A fronte dei grandi e continui progressi dello sviluppo cinese, che sorpassano quelli modesti delle economie del G7, si stagliano nondimeno sostanziali problemi sul come sostenerli in un quadro di stagnazione demografica, inadeguata ascesa della produttività e tensioni commerciali e geopolitiche di portata non vista da decenni. La leadership e il popolo sono chiamati ad affrontare la sfida nei termini di un regime autoritario che non lascia spazio per il dissenso dalle scelte ufficiali. Che questo regime riesca a ripetere i successi del passato senza l’apporto dei mercati e delle risorse delle democrazie occidentali è tutto da vedere. Ma se ci riuscisse, risalterebbe con maggior rilevanza l’interrogativo se per lo sviluppo economico e sociale di un Paese la democrazia liberista di stampo occidentale sia l’unica via percorribile.


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