Oggi il Dragone è primatista mondiale per tecnologie green, senza contare l’avanzata inarrestabile sulle auto elettriche. Eppure Washington potrebbe non essere destinata per sempre al ruolo di inseguitrice. Basta investire, puntare sui propri cervelli e su parteneriati strategici
C’è chi fugge e chi insegue. Ma non è detto che i secondi non raggiungano, e magari superino, i primi. Succede ai tempi della grande corsa alla transizione energetica tra Cina e Stati Uniti. Una nuova forma di guerra fredda, forse meno muscolare, meno plateale, ma non per questo meno decisiva per le sorti del mondo. Il Dragone vive, da almeno due decenni, uno strano paradosso: è insieme il Paese più inquinante al mondo e quello con più tecnologia e infrastruttura rinnovabile. Senza dimenticare l’auto elettrica: piaccia o no oggi il baricentro globale della mobilità green, batterie incluse, è cinese. Solare, eolico e tanto altro, la Cina appare oggi irraggiungibile. Non è così, almeno secondo gli esperti del Carnegie. Per i quali gli Stati Uniti, che certamente sono ancora un passo indietro, possono tuttavia aumentare il ritmo.
Si prenda il solare, la fonte di energia pulita in più rapida crescita al mondo. Quando la Cina ha superato l’Unione europea, nel 2017, diventando leader mondiale nel fotovoltaico, aveva installato un totale di 130 gigawatt di pannelli. Gli Stati Uniti hanno raggiunto questa cifra nel 2023, quando la Cina ne ha aggiunti 200. Lo stesso vale per l’energia eolica: fino al 2019 la Cina era solo marginalmente in vantaggio sull’Ue. Entro il 2023, i parchi eolici cinesi erano in grado di generare 450 gigawatt di energia, il doppio di quella dell’Ue. Se funzionassero a piena capacità, le turbine potrebbero eguagliare la capacità di generazione totale di tutte le fonti energetiche in India.
Eppure, “affinché gli Stati Uniti mantengano la loro leadership nel settore tecnologico e competano più efficacemente nel settore dell’energia pulita, devono agire rapidamente. E il primo passo è riconoscere come la Cina abbia raggiunto la sua posizione di leadership. Consapevoli, insomma che chiaramente, capitale e manodopera a basso costo rappresentano un vantaggio indubbio per la Cina”. Ora, come possono gli Stati Uniti invertire la rotta? “Un primo passo semplice è che il Congresso elimini i sussidi ai combustibili fossili , che attualmente ammontano a circa 20 miliardi di dollari all’anno, al fine di alleviare la concorrenza intersettoriale. Il governo statunitense non può proteggere le aziende di energia pulita dalla concorrenza intersettoriale tanto quanto fa il governo cinese, ma può almeno livellare il terreno di gioco”.
Secondo il Carnegie, dunque, Washington ha bisogno “di una politica estera mirata, pragmatica e coordinata per le catene di approvvigionamento di energia pulita. Durante le ultime due amministrazioni (Trump e Biden, ndr), il Paese ha iniziato a mettere in atto una politica estera che promuove i suoi interessi nelle tecnologie energetiche e nei minerali correlati, ma con delle lacune. Riflettendo su questi anni, alcuni capitali politici e finanziari sono stati investiti in aree a basso rendimento che non erano cruciali per lo sviluppo della tecnologia energetica, della sicurezza o della posizione dominante degli Stati Uniti, tanto meno per la riduzione delle emissioni.”
Non è finita. “Finora, gli Stati Uniti hanno concentrato la loro forza diplomatica principalmente su alcuni settori chiave della tecnologia pulita, come minerali, idrogeno e nucleare, attraverso una serie di attori allineati e non allineati nei Brics e nell’Ocse. Accanto a questa strategia bilaterale frammentata, sono, finalmente, emerse alcune iniziative fondamentali, come il Partenariato per la sicurezza dei minerali (Msp).” E ancora, gli Usa “possono investire per stimolare l’innovazione nelle tecnologie per l’energia pulita. Un aumento dei finanziamenti per la ricerca, lo sviluppo e l’implementazione può accelerare il tasso di innovazione nell’energia pulita, a vantaggio comparativo degli Stati Uniti. Il governo dovrebbe inoltre incentivare progetti di energia rinnovabile distribuita per avvicinare i prodotti ai consumatori, il che renderà più importanti prestazioni e affidabilità.”
C’è infine una leva, la tecnologia, in cui gli Usa non sono secondi a nessuno. “Gli Stati Uniti devono inoltre salvaguardare il proprio vantaggio nell’innovazione tecnologica, ancora ben saldo. Investire in ricerca, sviluppo, è fondamentale per mantenere tale vantaggio, ma lo è anche investire nell’istruzione Stem (science, technology, engineering and mathematics, ndr) e ripristinare e migliorare i programmi di visto per i lavoratori immigrati di talento. Il capitale umano è la chiave per vincere nell’innovazione”.