Nella sua sesta relazione al mercato finanziario, il presidente della Commissione per la Borsa, Paolo Savona, torna ad attaccare la mania delle monete virtuali, autentico seme per una crisi in stile Lehman Brothers. La via maestra è rafforzare l’euro e renderlo meno dipendente dal dollaro
Bisogna andarci piano con i libri dei sogni. Si rischia di rivivere lo psicodramma del settembre 2008, quando il mondo si scoprì improvvisamente fragile, vulnerabile. Erano le settimane, drammatiche, di Lehman Brothers. E c’era di mezzo proprio un sogno, quello di una finanza allegra, disinvolta. Come se prestare il denaro fosse gratis. Non lo era. Paolo Savona, alla sua sesta relazione al mercato finanziario, tenutasi a Palazzo Mezzanotte, in veste di presidente della Consob, non l’ha presa troppo leggera. Anzi, è tornato a martellare sul mito delle criptovalute.
“Alle turbolenze più recenti ha concorso il movimento della faglia tellurica delle cryptocurrency sottostante al territorio monetario e finanziario tradizionale, con possibili sbocchi dalle proporzioni imperscrutabili; il rischio è riemerso sotto la spinta dell’illusione di facili guadagni così ben descritta da Carlo Collodi nel Campo dei miracoli di Pinocchio e ha trovato alimento nel successo conseguito da quelli che hanno sfruttato l’occasione offerta dallo sviluppo delle tecnologie informatiche”, ha subito attaccato il presidente della Commissione per la Borsa. Poi, il paragone: “Non può sfuggire l’analogia che si va determinando con le radici della crisi finanziaria del 2008 dovuta alla diffusione dei derivati complessi che contenevano crediti difficilmente rimborsabili (i subprime) e causarono gravi conseguenze economiche, mettendo a rischio anche la sicurezza dello Stato”.
Di qui, una spinta, incondizionata, all’euro digitale. “Le possibili linee di azione sono “trasformare l’euro dalla forma fisica e digitale a una a contabilità decentrata, ma conoscibile (quindi del tipo Dlt e non blockchain, ndr), alla quale attribuire la funzione di unica moneta elettronica dotata di caratteristiche più sicure rispetto all’attuale moneta fiduciaria bancaria e a minore rischio rispetto alle cryptocurrency”. Di conseguenza, “i depositi bancari perderebbero la natura monetaria, liberando la banca centrale dal compito di garantire la solvibilità delle banche; non sarebbero più necessari lo schema di garanzia dei depositi fino a 100 mila euro e il mantenimento dell’attuale disparità di trattamento tra strumenti monetari e finanziari delle banche, come il non rimborso (bail-in) in caso di default delle altre forme di loro debito”. Inoltre, “si dovrebbe creare un’unica autorità di vigilanza finanziaria che svolga compiti di trasparenza e di correttezza legale delle contrattazioni, fungendo da principale consulente in materia del Parlamento e del governo”.
Questo nuovo assetto monetario e finanziario, in conclusione, creerebbe “solide basi per ridurre la dipendenza europea dalle sorti del dollaro e incanalare l’abbondante risparmio europeo verso un suo uso produttivo, avviando una modifica del modello export-led in uno trainato dai consumi da parte dei 450 milioni di cittadini Ue, per compensare con domanda interna la caduta delle esportazioni, come va facendo la Cina e ha tentato in passato l’Italia, che ora la ripropone”. Per pervenire a questa architettura istituzionale è però “necessario superare la rigidità dei regimi di civil law nell’adattare l’attività regolatoria a mercati e tecnologie in continuo mutamento” e “necessario introdurre elementi di common law nelle funzioni regolatorie attribuite agli organi di vigilanza, accrescendo i loro poteri discrezionali, di cui già si avvale la Magistratura con le sue sentenze che fanno giurisprudenza”.