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Così la bioeconomia circolare fa vivere in sintonia con la Terra

Spunti e riflessioni al centro di un incontro all’Università Luiss, in occasione della presentazione del Rapporto “La Bioeconomia in Europa”, redatto dal Centro Ricerche di Intesa San Paolo

“Il critico scenario geopolitico, segnato da crescenti tensioni e conflitti che coinvolgono nuove aree geografiche, dall’Ucraina al Medio Oriente, sottolinea l’importanza di adottare nuovi modelli sostenibili per la produzione, il consumo e il business, incluso un più ampio utilizzo di risorse rinnovabili per la produzione di prodotti chimici, materiali ed energia, e l’adozione di approccio circolare nell’uso dei materiali, volto a ridurre la nostra dipendenza dalle risorse importate”. Inizia così il Piano d’azione per il 2025-2027, presentato dal governo lo scorso dicembre, per l’implementazione della Strategia Italiana per una Bioeconomia sostenibile e circolare in Italia.

La Bioeconomia rappresenta, infatti, uno dei pilastri di un nuovo modello di sviluppo che pone al centro il benessere ambientale e sociale ed è in grado di affrontare le crescenti sfide poste dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento, dalla degradazione del suolo e degli ecosistemi, “generando al contempo benessere economico e sociale attraverso l’utilizzo di specificità, conoscenze e tradizioni locali”. Essa svolge un ruolo cruciale nella decarbonizzazione dei sistemi industriali ed energetici, oltre che nel ripristino dei territori. Rappresenta “un efficace acceleratore per l’innovazione e lo sviluppo sostenibile di aree rurali, collinari e montane, incluse le zone marginali, desertificate, abbandonate, nonché quelle urbane, umide, marine e costiere, con il potenziale di trasformare le aree periferiche in centri strategici”.

Il nostro Paese vanta una lunga esperienza nella bioeconomia sostenibile e circolare. Oggi rappresenta una fetta importante dell’economia italiana, con un fatturato di oltre 437 miliardi di euro e 2 milioni di occupati, che la pone al terzo posto in Europa, dopo Germania e Francia. Secondo la definizione della Commissione Europa, essa comprende le produzioni primarie come “l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca e l’acquacoltura, e le industrie che utilizzano o elaborano risorse biologiche, come l’industria alimentare, quella della cellulosa e della carta, parti dell’industria chimica, biotecnologica ed energetica”. E i rifiuti, con il riciclo e il riutilizzo, che consentono di ottenere materie prime seconde ed energia, come biogas e metano.

La bioeconomia circolare e sostenibile, di riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e rafforzamento della competitività dell’Ue, in linea con gli obiettivi climatici e di neutralità carbonica entro il 2050, è stata al centro di un incontro, nei giorni scorsi a Roma, all’Università Luiss – Guido Carli, alla presentazione del Rapporto “La Bioeconomia in Europa”, redatto dal Centro Ricerche di Intesa Sanpaolo, in collaborazione con Spring, il cluster italiano della bioeconomia circolare. Il rapporto, giunto all’undicesima edizione, “si conferma un punto di riferimento per gli operatori e i policy maker, fornendo una quantificazione del complesso insieme di settori che utilizzano materie prime di origine biologica rinnovabile e spunti di riflessione sugli sviluppi di uno dei pilastri dell’inevitabile percorso di transizione verso modelli di produzione e consumo più sostenibili”.

L’analisi del panorama europeo evidenzia come la bioeconomia “intesa come insieme di attività che utilizzano materie prime di origine biologica e rinnovabile, ha generato un rendimento di oltre 3 miliardi di euro, l’8,7% del totale dell’economia Ue a 27, con oltre 17 milioni di occupati, dove la filiera agroalimentare occupa la metà di tutta la produzione. Soprattutto nei Paesi dell’area mediterranea, Italia in primis”, si legge. Mentre nei comparti del legno e mobili, e nella carta emergono i Paesi nordici. I prodotti in plastica bio-based, pur con un peso ancora limitato, presentano “un elevato potenziale di crescita”, in particolare per quanto riguarda il packaging, tassello fondamentale per uno sviluppo dell’economia circolare.”

Un’indagine condotta presso 171 imprese clienti di Intesa Sanpaolo che producono imballaggi in plastica, conferma il ruolo che i prodotti bio-based già ora giocano nel contesto italiano: “quasi metà delle imprese intervistate utilizza input di origine naturale”. Si tratta di imprese fortemente proiettate verso l’innovazione, spinte soprattutto da motivi di competitività e di richieste di mercato. “In prospettiva, si legge in una nota, il 23% delle aziende che non utilizzano materie prime bio-based intende introdurre tali input nei propri processi produttivi, mentre ben il 68% delle imprese che utilizzano input bio-based in maniera marginale dichiarano di voler ampliare l’utilizzo di tali risorse”.

“L’ampliamento dell’analisi della bioeconomia all’Ue 27, presentata nel rapporto, è sicuramente un passo avanti nel comprendere la rilevanza di questo meta-settore”, ha commentato Stefania Trenti, responsabile Industry and Local Economies Research di Intesa San Paolo. “In considerazione anche della nuova revisione della Strategia europea. La Bioeconomia può rappresentare un’occasione per rinnovare anche alcuni settori altamente competitivi come quello del packaging in plastica. L’indagine su imprese attive in questo settore, presentata nel report, conferma il ruolo che i prodotti bio-based già ora giocano nel contesto italiano, grazie all’impegno di imprese fortemente innovative e proattive di fronte alle sfide del mercato”.

Per avviare un cambiamento duraturo è necessario un salto di qualità nelle politiche pubbliche, sia in Italia che in Europa, dove la Commissione, nel Clean Industral Deal, pubblicato lo scorso febbraio, ha riconosciuto il carattere strategico della bioeconomia come pilastro fondamentale nella costruzione di un sistema economico e produttivo, competitivo e sostenibile. La revisione della Strategia, attesa per la fine dell’anno, potrà rappresentare un passo importante per promuovere le potenzialità di questi materiali e ridurre le dipendenze dall’estero.

“In un contesto globale profondamente trasformato – ha aggiunto Catia Bastioli, presidente Cluster Spring – la bioeconomia si conferma una leva strategica per coniugare sostenibilità ambientale, competitività industriale e coesione territoriale. E’ ora necessario che l’Europa riconosca pienamente il contributo dei prodotti bio-based alla transizione ecologica, integrandoli nel quadro legislativo e regolatorio europeo. Trasformare la bioeconomia in una vera e propria strategia industriale europea è fondamentale per garantire prosperità duratura, autonomia strategica e benessere condiviso”.

Ed è quello che si propone il Piano d’azione della Strategia italiana per la Bioeconomia: aumentare del 15% il fatturato annuo e l’occupazione del settore entro il 2030, portandoli rispettivamente a 503 miliardi di euro e 2 milioni 300 mila posti di lavoro, attraverso l’implementazione degli investimenti per sostenere tutti i settori interessati. Sfruttando il potenziale delle aree rurali, montane e costiere e promuovendo un quadro legislativo “chiaro, stabile e armonizzato, in grado di stimolare il mercato di alimenti e bevande, prodotti chimici, plastiche e carburanti bio-based ottenuti da materie prime biologiche”.

Come ha dichiarato il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, “la bioeconomia è una delle leve più innovative per raggiungere gli obiettivi di crescita sostenibile. L’aggiornamento del Piano d’Azione pone l’Italia all’avanguardia nella ricerca di soluzioni e nuove opportunità per le imprese e il mondo del lavoro. Nei settori della bioeconomia, dai carburanti sostenibili alle rinnovabili, dall’economia circolare alla rigenerazione e il ripristino ambientale, c’è una leadership italiana da valorizzare”.


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