No al 5% in Difesa, serve un esercito europeo unico. Il modello spagnolo di Sánchez è quello vincente: priorità a sanità e sociale, non armi. L’eurodeputato del Pd, Matteo Ricci critica Meloni e i tagli mascherati, chiede debito comune Ue per investimenti civili. Difende la linea pacifista della Spagna su Israele. Avverte von der Leyen: niente passi indietro sul Green Deal. Sui dazi, lancia l’allarme: Europa unita o sarà crisi economica
La posizione espressa dal presidente spagnolo Pedro Sànchez sulle spese per la Difesa (l’unico che si è opposto al 5% sancito dal vertice Nato) raccoglie, nella sensibilità politica dei socialisti europei, un buon sostegno. Tant’è che Matteo Ricci, europarlamentare del Partito democratico afferma che sulle spese per la Difesa “il modello giusto, da seguire, è proprio quello spagnolo”, mentre “le dichiarazioni della nostra presidente Meloni vanno contro decenni di politiche comuni europee”. Il rischio che nella sua intervista a Formiche.net paventa il dem è quello, per l’Italia, di trovarsi costretta a “tagliare risorse a sanità e sociale, settori di spesa pubblica già in affanno” per arrivare al 5% sulla Difesa.
Dal vertice Nato è uscita una decisione che impegna gli Stati membri ad aumentare la spesa per la Difesa al 5%. Nel suo partito su questa linea ci sono sensibilità differenti. Qual è la sua posizione?
Da pacifista pragmatico, non nego il valore della deterrenza. Ma ritengo un errore una ulteriore spesa in ambito militare, che comporterebbe arrivare al 5% del Pil. Un simile aumento renderà obbligatorio, in Italia, il togliere risorse a sanità e sociale, settori di spesa pubblica già in affanno. Quando, invece, l’unica prospettiva per un’Europa che possa contare sullo scacchiere internazionale è avere una sola politica estera e di difesa, e un solo esercito. Non ha senso, pertanto, rinforzare i singoli eserciti nazionali. Già oggi senza spendere un euro in più di quanto già si spende in ambito militare, se i singoli eserciti si mettessero insieme, l’esercito europeo sarebbe più forte di quello russo e quasi al paro di quello cinese, senza aumentare percentualmente la spesa militare. Il che rafforza il fatto che è l’esercito comune europeo la sola risposta in termini di deterrenza. Nel Partito democratico c’è sostanziale accordo sul no all’aumento delle spese per i singoli eserciti nazionali. La prospettiva più razionale, per l’Unione Europea, è quella di un esercito comune.
La strada più corretta per finanziare questi investimenti è ricorrere a nuovo debito comune europeo o attingere – come chiedono Germania, Olanda e scandinavi – a fondi propri?
A mio parere, sarebbe opportuno ricorrere a nuovo debito comune europeo per ben altri obiettivi: come, ad esempio, finanziare un piano di investimenti pubblici strutturale, sulla falsariga di quanto avvenuto dopo l’emergenza Covid con il Pnrr. Ma, come dicevo, per quel che riguarda la spesa militare, temo che l’Italia ricorrerà a tagli al sociale e alla sanità. E arriverà il momento in cui la maggioranza dovrà affrontare la spaccatura interna: che ne pensa il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti? Sarà dalla parte del suo leader, Matteo Salvini, o dalla parte della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, desiderosa di compiacere l’amico Donald Trump in materia militare? Il responsabile economia del Carroccio, Alberto Bagnai, ha definito quello del 5% un obiettivo “al momento irraggiungibile e insostenibile socialmente”, mentre la premier, a margine del vertice Nato all’Aja, ha fatto intendere di voler rispettare l’impegno, considerando sostenibile la spesa. Ora, però siamo già ai retroscena sui trucchetti contabili del governo: leggo che si pensa di inserire il Ponte di Messina nel budget delle spese militari. Un contentino all’alleato leghista?
La scelta del presidente spagnolo Sanchez di non aderire al 5% delle spese sulla Difesa, come la interpreta? Ritiene che sia giusta?
Il modello giusto, da seguire, a mio parere, è proprio quello spagnolo, mentre le dichiarazioni della nostra presidente vanno contro decenni di politiche comuni europee improntate al pacifismo, oltre che ai valori della nostra Costituzione. Pedro Sánchez si è attirato le ire di Donald Trump – che già minaccia ritorsioni contro la Spagna, a colpi di dazi raddoppiati – per non tradire il patto sociale coi sui cittadini. Per il suo Paese, il 5% investito in difesa equivarrebbe a uno sforzo di 350 miliardi di euro, fondi da reperire attraverso “un aumento delle tasse, una riduzione del 40% delle pensioni o un dimezzamento degli investimenti in istruzione”. Sánchez ha scelto di dare priorità al sociale, in nome dei valori che porta avanti da progressista e riformista quale è.
Non c’è il rischio, anche sull’ipotesi di congelare il memorandum fra Ue e Israele, che si isoli?
Il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, al suo arrivo al Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue, è stato chiaro e coerente con la linea impostata dal premier Sánchez: sospensione immediata dell’accordo, embargo sulla vendita di armi da parte dell’Unione europea a Israele e sanzioni individuali contro tutti coloro che vogliono impedire la soluzione dei “due popoli, due Stati”, soluzione, peraltro, che anche a mio avviso è l’unica praticabile. Non vedo in questo un rischio di isolamento per la Spagna. Vedo coerenza con la decisione relativa al no all’aumento delle spese militari e vedo un deciso impegno pacifista e pragmatico: se vogliamo una vera e dura pace in Medioriente, è tempo di far sentire forte la voce dell’Europa nata sui valori della pace e della democrazia.
I socialisti europei stanno dicendo chiaramente a Ursula von der Leyen che i voti del gruppo non sono scontati e che sulla revisione del Green Deal non sono disposti a cedere a ricatti. Farete davvero mancare il sostegno all’esecutivo europeo con tutti i rischi che questo comporterebbe in uno scenario così complicato?
Quando Ursula von der Leyen è stata riconfermata a capo dell’esecutivo, sapeva bene quali fossero le richieste del gruppo S&D: no all’arretramento sul Green Deal. Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti e procede in maniera accelerata, in modo più veloce di quanto si pensasse. Le alte temperature che affliggono anche l’Italia stessa, proprio in questi giorni, sono un campanello d’allarme da non sottovalutare. E che dire degli eventi estremi, come le alluvioni che hanno devastato la Comunità valenciana o l’Emilia Romagna? Non possiamo chiudere gli occhi dinanzi a questo. La transizione ecologica va accelerata e servono investimenti pubblici ingenti per far fronte alle necessità imposte – anche sul piano infrastrutturale e urbano – dal cambiamento climatico. Noi Socialisti& Democratici abbiamo chiesto una immediata dimostrazione di fiducia nei confronti della coalizione europeista e lo stop al molto pericoloso gioco che il Ppe sta mettendo in atto: piegarsi ai desiderata della destra, immaginando, chissà. ipotetiche altre maggioranze, non improntate ai valori dell’europeismo, dell’ambientalismo e del pacifismo.
Il 9 di luglio scade la tregua sui dazi sancita dagli Stati Uniti, che nel frattempo siglano l’accordo con la Cina e annunciano come prossimo obiettivo l’India. Che scenario si profila per l’Ue?
La politica dei dazi è il simbolo della nuova destra populista mondiale, ma Reagan e Berlusconi si rivolterebbero nella tomba dinanzi all’operato di Donald Trump, una destra mondiale che, come prima azione, impone dazi ai produttori stranieri. Dinanzi al sovranismo che inganna i popoli, viviamo momenti nei quali si dimostra ulteriormente che o l’Europa è unita e reagisce o rischiamo davvero il declino. Mentre Giorgia Meloni spera ancora in qualche sconticino, da parte di Trump, cercando di blandirlo sulla spesa militare, la sola e unica risposta deve essere europea e comune. Se noi europei reagiremo, come saremo costretti a fare, con altri dazi, l’economia mondiale peggiorerà. La scelta di Donald Trump è stata irresponsabile: ci condurrà a uno scenario negativo per tutti. È evidente che tutti si difenderanno mettendo dei dazi e delle restrizioni e questo porterà a un rallentamento dell’economia generale, in cui l’Europa rischia di finire stritolata. Lo vedo già ora, parlando con gli imprenditori della mia regione, le Marche: c’è grande preoccupazione in chi gestisce le imprese, in special modo nel manifatturiero. Solo puntando su apertura, scambio, democrazia e impegno concreto nella risoluzione dei conflitti per via diplomatica l’Unione Europea può riappropriarsi del ruolo che le spetta nello scacchiere internazionale.