L’importanza del dollaro sulla scena mondiale probabilmente risentirà negativamente dell’avventurismo delle politiche del presidente americano, ma l’erosione del suo ruolo non conduce a una futura preminenza dell’euro. Gli equilibri geopolitici e quelli economici sono però cambiati. I membri dell’Unione monetaria dovranno quindi agire rapidamente ed efficacemente per difendere la posizione raggiunta dall’euro, e questo risultato è già tanto. Il commento di Salvatore Zecchini, economista Ocse
In una recente dichiarazione il numero uno della Bce, Christine Lagarde, ha lanciato un’affermazione forte: questo momento di cambiamento è il momento dell’euro globale. A promuovere il ruolo globale dell’euro ha dato anche una mano l’attuale governatore della Banca d’Italia. In particolare, ha voluto spiegare in un intervento del gennaio 2024 perché è importante operare per assicurare all’euro un ruolo internazionale. Il riferimento è ai vantaggi che comporta, che eccedono i costi impliciti del mantenere questo status.
Tra i vantaggi, si distingue il diritto di signoraggio che permette di avere accesso a beni e servizi solo per il battere una moneta richiesta da altri Paesi come riserva di valore accettata internazionalmente. Si aggiunge la riduzione dei costi delle operazioni monetarie rispetto all’alternativa di dover convertire la moneta nazionale in quella di riserva. A questi si accompagna il “privilegio” di potersi finanziare a un costo inferiore a quello sostenuto da Paesi non a moneta di riserva. Alcune analisi che hanno ad oggetto il ruolo globale del dollaro americano stimano che il costo di emissione dei titoli del Tesoro americano sia stato alleggerito tra 30 e 70 punti base grazie al signoraggio del dollaro.
I vantaggi vanno oltre il campo finanziario perché il Paese emittente può esercitare questo privilegio per influire sui rapporti con gli altri. Ma per godere di questi vantaggi deve accettare la variabilità dei flussi di capitale che condiziona la liquidità nel suo sistema e mantenere una politica economica orientata alla stabilità macroeconomica più che alla crescita. In generale, si ritiene che i benefici sorpassino i costi e quindi conviene battere una moneta richiesta da altri Paesi come parte delle loro riserve di valore.
L’euro attualmente non è assurto a questo status, pur avendo diverse caratteristiche che lo rendono candidato a questo ruolo. La quota dell’euro nei portafogli delle banche centrali dal 2015 ha oscillato attorno al 20% (19,8% nel 2024), mentre il dollaro ha conservato il suo ruolo dominante, nonostante la sua quota sia caduta dal 72% del 2000 al 58% dell’anno scorso. Il ruolo internazionale di una moneta, peraltro, si misura sulla base di più indicatori e non solo sulla sua funzione di riserva, in quanto può svolgerne altre.
Può essere impiegata per denominare gli scambi commerciali, per i pagamenti internazionali, per l’emissione di obbligazioni al di fuori dell’eurozona, per la concessione di prestiti all’esterno dell’area, per i depositi bancari nel resto del mondo, nonché nelle operazioni in cambi. La Bce ha costruito un indicatore che integra queste diverse funzioni in un indice unico di incidenza nel sistema globale. Ne risulta che l’euro dal massimo del 24% toccato nel 20008, anno dell’inizio della crisi finanziaria globale, è sceso al minimo del 17% nel 2016 per riprendersi e gravitare attorno al 19% negli anni seguenti. Su questa base l’euro rappresenta la seconda moneta più importante nel sistema internazionale e il suo ruolo non è stato scalzato dall’emergere di altre monete in queste funzioni.
Ma la concorrenza è una costante dell’operare di questi mercati e poggia su diversi fattori in cui intervengono anche variabili geopolitiche ed innovazioni finanziarie. Ad esempio le sanzioni alla Russia dopo l’aggressione all’Ucraina hanno obbligato i paesi non partecipanti a ricorrere a circuiti monetari e di pagamento alternativi. La Cina è stata rapida nel cogliere questa occasione creando un sistema di pagamenti interbancario (Cips), esempio seguito da altri paesi con economie emergenti, che hanno fatto ricorso a sistemi di pagamento in monete locali. Queste nuove infrastrutture hanno permesso al renminbi cinese di conquistare rapidamente una quota di circa il 5% come moneta di regolamento nei pagamenti transnazionali. Un nuovo concorrente è inoltre emerso con l’avanzare delle criptovalute e le stablecoins, che permettono immediatezza nei pagamenti e costi minimi.
Per affermarsi in un ruolo globale l’euro dovrebbe avere requisiti che ancora le mancano. In attivo può annoverare una grande economia, mercati dei capitali aperti, grande propensione al commercio internazionale, un’industria finanziaria sviluppata e una convertibilità esterna per le partite sia correnti sia in conto capitale della bilancia dei pagamenti. L’area presenta un livello tecnologico comparativamente elevato, una notevole capacità manifatturiera e genera consistenti flussi di risparmio che investe in altre economie. La condotta monetaria è improntata alla stabilità dei prezzi, il disavanzo complessivo delle finanze pubbliche dei paesi membri è inferiore, in rapporto al Pil, a quello del bilancio federale americano (89% contro 126%), e i principi dello Stato di diritto si sono affermati da lungo tempo. L’affidabilità delle sue istituzioni giudiziarie offre, inoltre, garanzie di tutela dei diritti economici anche nei confronti dei poteri dello Stato.
Questo insieme non è, tuttavia, apparso sufficiente agli occhi degli operatori extra-europei al punto da assegnargli un ruolo di importante alternativa alla dominanza del dollaro. La discesa dei favori verso il dollaro non è spiegata dall’avanzata dell’euro ma da quella delle monete e delle infrastrutture di regolamento dei pagamenti esterni dei paesi emergenti, con in testa la Cina. Diversi fattori indeboliscono la rilevanza dell’euro nel sistema internazionale dei pagamenti e delle monete. In primo luogo il fatto stesso che alla base dell’euro non vi è un unico Stato che ne rappresenti la forza, ma un semplice trattato.
I membri dell’area possono sempre denunciare questo trattato e ritirarsi, seppure con costi gravosi a causa dell’uscita dall’Ue. Pur impegnandosi in un trattato che mira a creare una unione economica e monetaria, i paesi dell’euro non hanno raggiunto quella coesione di intenti tale da poter agire come un soggetto unico. Operano, invece, come un ampio gruppo di paesi che deve raggiungere un consenso ogni volta che sono in gioco scelte di grande portata e questo consenso spesso si ottiene su compromessi al minimo che tarpano l’efficacia dell’azione. Non riescono neanche ad esprimere con il loro agire insieme una forza politica e militare con cui il resto del mondo deve confrontarsi nei periodi di crisi e che funge da baluardo alla forza dell’euro. Di fronte a crisi globali tanto economiche che geopolitiche è il dollaro a essere considerato come moneta rifugio perché dietro la sua forza globale si scorge una potenza militare e politica. Lo è stato per la sterlina britannica nel diciannovesimo secolo e per il dollaro nel ventesimo.
In campo economico l’area dell’euro brilla nella stabilizzazione macroeconomica, ma dall’avvio dell’euro resta indietro nell’accrescere il reddito nazionale rispetto agli Usa, alla Cina e alle altre economie asiatiche. Agli attuali ritmi di espansione attorno all’1% annuo, sembra che sia entrata in una prolungata fase di stagnazione. Vi contribuiscono in primo luogo il declino demografico e l’invecchiamento della popolazione, a cui si somma la lentezza del progredire della produttività per addetto. La tendenza a iper-regolare le attività economiche insieme all’invadenza della burocrazia tendono a soffocare lo spirito d’iniziativa imprenditoriale con il risultato di ritardare l’ingresso di nuove imprese nel mercato. Queste ultime sono uno dei motori del rinnovamento del tessuto imprenditoriale e fungono anche da stimolo alla diffusione delle nuove tecnologie e all’efficienza.
L’area di maggior debolezza dell’euro sta nell’assenza di un’integrazione dei mercati finanziari nazionali in un’unica struttura, governata dalle stesse regole, aperta a investitori ed imprese provenienti dall’interno e dall’esterno del gruppo dei paesi membri. La frammentazione finanziaria priva l’euro del pilastro di un mercato dei capitali che abbia la stessa ampiezza, profondità, liquidità e resilienza di quello americano. Da più di dieci anni si parla al Consiglio Ecofin di Unione dei mercati dei capitali, ma non si riesce a portare a termine il progetto per l’opposizione di un piccolo gruppo di paesi gelosi di conservare un trattamento preferenziale che risulta più attraente per gli investitori rispetto ai paesi partner. Questa disparità, che fa delle loro piazze finanziarie centri finanziari di maggior rilevanza internazionale, sarebbe destinata a scomparire nel caso di parificazione dei trattamenti all’interno di un unico mercato.
Un altro ostacolo all’integrazione finanziaria risiede nell’incompletezza dell’Unione Bancaria. Nonostante l’introduzione del Meccanismo unico di supervisione e di quello di soluzione delle crisi bancarie il sistema bancario dell’area rimane un insieme composito di sistemi nazionali. Di fatto, per alcuni paesi il proprio sistema è considerato il terreno più favorevole in cui riuscire a piazzare i titoli pubblici a copertura dei disavanzi. Nemmeno un sistema di assicurazione unica dei depositi bancari all’interno dell’area è riuscito a superare le opposizioni dovute al diverso apprezzamento da parte degli Stati membri dei rischi finanziari inerenti.
Di conseguenza, un’eventuale unione dei mercati dei capitali non potrebbe contare sul supporto essenziale del suo principale protagonista, un sistema bancario di portata tale da assolvere le diverse funzioni del mercato stesso. Né potrebbe contare sul ruolo guida di un “titolo sicuro” (safe asset) che coinvolga la responsabilità collettiva dei paesi membri. I titoli emessi dall’Ue con queste caratteristiche, come le obbligazioni per finanziare i Pnrr, sono troppo esigui per rappresentare il barometro e il punto di riferimento di un mercato europeo.
Molte le proposte e i piani per superare queste carenze dell’euro, ma ancora molte le resistenze nazionali. Non si può, pertanto, affermare che questo sia il momento dell’euro globale. D’altronde, il dollaro appare ancora in cima alle preferenze internazionali come metro di valore, mezzo di pagamento e sbocco d’investimenti relativamente più redditizi che in Europa, oltre che moneta rifugio. Il capo della Commissione europea è ben consapevole di questo stato di cose e il suo richiamo rivolto agli Stati membri va, quindi, interpretato come un mezzo per stimolare la politica a dare nuovo impulso alla costruzione comunitaria e sfruttare appieno il suo potenziale. Il richiamo è tanto più necessario quanto più grandi si stagliano i rischi emersi dall’aggressione russa per lo sviluppo e la sicurezza dell’area.
L’importanza del dollaro sulla scena mondiale probabilmente risentirà negativamente dell’avventurismo delle politiche del presidente americano, ma l’erosione del suo ruolo non conduce a una futura preminenza dell’euro. Gli equilibri geopolitici e quelli economici sono cambiati e di riflesso il sistema monetario internazionale ha già maturato la tendenza ad evolvere verso un assetto multipolare, in cui la diversificazione tra valute nelle loro differenti funzioni sarà la regola. I membri dell’Unione monetaria dovranno quindi agire rapidamente ed efficacemente per difendere la posizione raggiunta dall’euro, e questo risultato è già tanto.