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Euforia dell’Armageddon e crisi della deterrenza. L’Ucraina e il disarmo nucleare secondo Pellicciari

Molti al Pentagono temono che Mosca possa sfruttare l’episodio Spiderweb, di fatto facilitato dalle regole del New Start, per non rinnovare il trattato e avere mani libere per maturare un vantaggio incolmabile nel campo del nucleare militare. Ma più che su una euforia dell’Armageddon, la diplomazia occidentale ed il mainstream dovrebbero concentrarsi su come preservare ciò che resta dell’architettura globale della deterrenza. L’analisi di Igor Pellicciari

L’Operazione Ragnatela (Spiderweb) condotta da Kyiv contro basi aeree nucleari russe apre le porte ad un cambiamento strutturale nel conflitto russo-ucraino, epicentro geopolitico della riconfigurazione dell’ordine internazionale. Si va verso un’escalation evocata da alcuni con (comprensibile) timore, da altri con (incomprensibile) compiacimento. Le sue implicazioni superano lo scontro militare, ridotto dal mainstream occidentale a romanzato bollettino quotidiano. Riguardano questioni politiche e geopolitiche più ampie: dai reali centri decisionali a Washington, agli effetti degli aiuti di intelligence militare sulla tenuta del fragile equilibrio nucleare russo-americano.

Lo scenario bellico: la fine del dialogo

Spiderweb ha compromesso le già esigue possibilità di successo del negoziato di Istanbul, contribuendo a irrigidire e polarizzare le reciproche posizioni russa e ucraina. Kyiv rigetta il memorandum di Mosca, di fatto un ultimatum, e sposa la linea massimalista europea, ribadita dal cancelliere tedesco Friedrich Merz a Washington: porre fine al conflitto aumentando sanzioni e pressione militare sulla Russia. Nonostante l’accordo sullo scambio di prigionieri, salutato da Sergej Lavrov, e segnali come l’incontro informale a due tra il capo delegazione russo Vladimir Medinskij e il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov, svoltosi a latere dei lavori a Istanbul, il canale di dialogo tra Mosca e Kyiv è (per ora) interrotto.

Risentito per i sabotaggi alle infrastrutture ferroviarie nelle regioni di Bryansk e Kursk, il Cremlino ha definito l’élite ucraina “terrorista”. Nel formalismo della comunicazione istituzionale russa, tale etichetta giustifica un’intensificazione delle azioni militari, incluse ritorsioni mirate contro i vertici del governo di Kyiv. Sul versante bellico, Mosca cercherà probabilmente di estendere il proprio controllo sull’intera Ucraina orientale, spingendosi oltre le regioni rivendicate nel memorandum verso il fiume Dnepr, mentre Kyiv si prepare a una difesa che combini operazioni asimmetriche di sabotaggio – simili a Spiderweb – con un’azione diplomatica volta a strappare agli alleati occidentali maggiori impegni di sostegno strategico e finanziario.

Intelligence militare e aiuto interventista

Spiderweb è tra gli esiti più evidenti delle politiche di assistenza militare occidentale all’Ucraina. Queste hanno dato forma a un nuovo modello di aiuto interventista, ad ampissimo raggio, concepito per influenzare direttamente l’esito del contesto di intervento e fondato su un coinvolgimento operativo del beneficiario nella sua programmazione e gestione. All’interno del pacchetto di “armi come aiuti”, un ruolo centrale hanno le attività di intelligence militare occidentale, cui Kyiv ha accesso completo, fino a diventarne co-protagonista e disporre di informazioni militari riservate e risorse di alto livello.

A dispetto dei proclami di Donald Trump, questo flusso non si è interrotto e ad oggi gran parte della strategia militare ucraina è decisa nella base Nato di Ramstein in Germania. Come avviene con lo strumento delle sanzioni, anche l’aiuto interventista nel campo dell’intelligence tende a stratificarsi nel tempo: è facile da attivare, molto più difficile da disinnescare. Ancor più retroattivamente. Non è chiaro se CIA e MI6 (le agenzie di intelligence occidentali più attive in Ucraina) abbiano avuto un ruolo operativo in Spiderweb. Che ne fossero informate, invece, è altamente probabile.

Il ritorno del Deep (National Security) State

Prendendo l’iniziativa di telefonare a Vladimir Putin, Trump ha preso nettamente le distanze da Spiderweb, accreditando le voci di quanti (come Lawrence Wilkerson, già capo di gabinetto di Colin Powell) ipotizzano che il Presidente non riceva briefing regolari da parte dell’intelligence.
Questo riapre interrogativi sulla trasparenza e sul controllo civile delle operazioni militari e d’intelligence negli Stati Uniti. E’ questione da tempo ricorrente nel sistema politico americano, ben prima di Trump.

In una celebre intervista concessa a Le Figaro nel 2017, Putin osservava con ironia che molti presidenti americani arrivano alla Casa Bianca con idee proprie, ma poi “uomini in abito scuro con la valigetta” entrano nell’ufficio e spiegano loro come stanno davvero le cose. Da Ronald Reagan a Barack Obama, da George W.Bush a Joe Biden, molti presidenti hanno sperimentato la distanza tra la propria agenda e l’autonomia delle agenzie che compongono quello che viene definito Deep State, o più propriamente National Security State. Trump ne è stato vittima durante il suo primo mandato, e la dinamica sembra ripresentarsi oggi che il Deep (National Security) State sta rialzando la testa e alcuni dei suoi referenti politici tornano a farsi visibili: da Lindsey Graham e Richard Blumenthal in visita a Kyiv, fino a Mike Pompeo, riapparso a Odessa al Black Sea Security Forum. Da questa prospettiva, anche la brusca evaporazione del capitale reputazionale di Elon Musk può essere un effetto collaterale della forte opposizione del Deep (National Security) State alle sue proposte di drastico ridimensionamento e razionalizzazione del bilancio militare americano.

Euforia dell’Armageddon vs Deterrenza Nucleare

L’attacco alle basi aeree russe ha sollevato timori legati alla dottrina strategica aggiornata di Mosca, che contempla il ricorso al nucleare – anche tattico – in caso di minacce a infrastrutture sensibili. Vi è tuttavia un elemento ancor più preoccupante, che riguarda il futuro del controllo degli armamenti strategici tra Stati Uniti e Russia. La visibilità dei bombardieri strategici russi che li ha resi vulnerabili ai droni ucraini non è frutto di una svista, ma di una clausola di trasparenza prevista dal trattato New Start, concepita per consentire la verifica satellitare reciproca degli assetti nucleari.

In scadenza nei prossimi mesi, il trattato è l’ultimo accordo ancora in vigore tra due superpotenze sul controllo degli armamenti nucleari. Un sistema che, dopo il 1991, gli Stati Uniti – in piena illusione di superiorità monopolare – hanno progressivamente indebolito con scelte unilaterali: dal ritiro dal trattato Abm nel 2002, fino alla fine dell’accordo Inf nel 2019. Oggi Washington si confronta con una Russia dotata del principale arsenale nucleare e di un’economia di guerra statalista, rafforzata da tre anni di mobilitazione. Se non contenuto, questo modello può espandersi a ritmi superiori rispetto a quello statunitense, affidato a un complesso militare-industriale privato che opera in un contesto di rallentamento ciclico, pressione inflazionistica e debito pubblico fuori scala.

Molti al Pentagono temono che Mosca possa sfruttare l’episodio Spiderweb – di fatto facilitato dalle regole del New Start – per non rinnovare il trattato e avere mani libere per maturare un vantaggio incolmabile nel campo del nucleare militare. Più che su una euforia dell’Armageddon, la diplomazia occidentale ed il mainstream dovrebbero concentrarsi su come preservare ciò che resta dell’architettura globale della deterrenza. Se c’è una lezione proprio dal conflitto russo-ucraino, è che in geopolitica il prezzo delle vittorie tattiche si misura ahimè spesso in perdite strategiche.


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