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Dalla Cina con microspie. Ferretti, due denunce in Procura

L’ex presidente Xu Xinyu denuncia la presenza di microspie nei suoi uffici. La società si smarca e si considera parte lesa. Sullo sfondo, le questioni legate al controllo strategico della nautica raccontate un anno su Formiche.net

Alla Procura a Milano ci sono due denunce contro ignoti. La prima depositata da Xu Xinyu, ex presidente di Ferretti, che dopo aver fatto bonificare i suoi uffici ha trovato dei microfoni nascosti. La seconda dalla società stessa che, su base di notizia di reato, vuole tutelarsi. I fatti, ricostruiti dall’agenzia Bloomberg, risalgono a oltre un anno fa, ad aprile 2024 quando Ferretti stava lavorando al buyback, un’operazione frettolosamente ritirata.

Un socio forte cinese (Weichai, di proprietà statale, detiene il 37,5% del capitale), un’operazione che richiede la notifica al comitato Golden Power e l’ipotesi di tensioni con l’amministrazione Alberto Galassi sarebbero gli ingredienti della spy story. Le indagini sono ancora in corso e, secondo alcune fonti vicine al dossier, tutto potrebbe ridursi a ragioni non industriali ma personali. “Ferretti SpA si considera parte lesa” ha dichiarato l’azienda a Bloomberg e “l’azionista e la società hanno avuto un rapporto di stima reciproca e di piena e costruttiva collaborazione per oltre 10 anni”. Peraltro l’azionista ha rinnovato il consiglio di amministrazione in agosto, Xu Xinyu è tornato in Cina e Jiang Kui è diventato il nuovo presidente di Ferretti mentre Galassi è stato confermato amministratore delegato.

La vicenda dell’aprile 2024 era stata raccontata per la prima volta da Formiche.net. Alla fine, la Presidenza del Consiglio aveva presa atto, senza conseguenze, della delibera con cui Ferretti aveva annullato la precedente decisione che aveva portato all’apertura di un dossier e alla richiesta di informazioni. Nessun ferito ma un precedente: infatti, è stata la prima volta in 12 anni dall’entrata in vigore della legge sui poteri speciali.

Ecco cosa scrivevamo.

Il sospetto delle autorità italiane è che, dopo l’esperienza con Pirelli (il cui primo azionista, con il 37% delle quote, è un altro colosso statale cinese, Sinochem, che opera attraverso il veicolo Marco Polo), la proprietà nelle mani dello Stato cinese abbia ravvisato il rischio di vedere imporre specifiche prescrizioni a tutela della gestione aziendale italiana, motivate soprattutto dai potenziali rischi per il mantenimento del controllo di tecnologie “duali”. Sarebbe questa la ragione che ha portato al dietrofront.


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