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Gcap, droni e interoperabilità. L’Italia tra ambizioni autonome e scenari integrati

Secondo Roberto Cingolani l’addestratore M-346 di Leonardo potrebbe costituire la base su cui sviluppare i droni gregari che affiancheranno il Gcap, il futuro caccia di sesta generazione  prodotto con Regno Unito e Giappone. La proposta dal Salone di Le Bourget

All’interno del programma Gcap la componente senza pilota resta ancora in una fase fluida, priva di un’integrazione strutturata all’interno della tabella di marcia ufficiale. Lo ha chiarito l’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, sottolineando come l’Italia stia valutando soluzioni nazionali per i droni, tra cui la riconversione di piattaforme già esistenti come gli addestratori M-345 e M-346. “Potremmo modificarli per renderli senza pilota”, ha spiegato a margine del Paris Air Show, ipotizzando un approccio inverso rispetto a quello turco: partire da un aereo con caratteristiche operative già mature e trasformarlo in un sistema unmanned. Il riferimento è anche al possibile contributo della turca Baykar, entrata recentemente nella joint venture con il proprio drone a reazione Kizilelma. Cingolani ha però raffreddato le aspettative su una sua automatica adozione nel Gcap, chiarendo che l’impiego di piattaforme Baykar non è scontato e che “il drone c’è, ma bisogna trasformarlo in un vero aereo”. Le valutazioni restano quindi aperte e, almeno per ora, affidate all’iniziativa dei singoli partner. Il lavoro sui droni non segue infatti la stessa governance condivisa prevista per il velivolo pilotato, che rimane il cuore del programma nei prossimi cinque anni. Su questo fronte, le ultime indicazioni progettuali suggeriscono un incremento dimensionale significativo del caccia Gcap, con un’apertura alare fino a 40 metri. Una scelta che riflette sia l’ambizione tecnologica sia la volontà di costruire un’architettura integrata, capace di operare in team con piattaforme senza pilota armate e dotate di sensori. Una visione coerente con gli sviluppi internazionali sulla sesta generazione di velivoli da combattimento, dove il concetto di sistema “manned-unmanned teaming” è ormai centrale.

Non concorrenza ma interoperabilità

Parallelamente, si consolida un elemento chiave della strategia Gcap: l’interoperabilità. Come ha chiarito il generale Giandomenico Taricco, direttore commerciale di Gigo – l’agenzia intergovernativa del programma – l’obiettivo non è competere con i programmi statunitensi ma garantirne l’integrazione operativa. “L’F-47 sarà principalmente un caccia statunitense e non un concorrente del Gcap”, ha affermato, auspicando una futura coesistenza tra sistemi alleati, piuttosto che una duplicazione competitiva. L’F-47, sviluppato da Boeing e annunciato dal presidente Donald Trump come futuro asset degli Stati Uniti nella sesta generazione, dovrebbe entrare in servizio prima del Gcap, con una timeline indicativa al 2030.

L’accelerazione americana ha però suscitato interrogativi nei partner Gcap, in particolare in Giappone, dove cresce l’impazienza per i tempi lunghi dello sviluppo congiunto. Tokyo ha aderito al consorzio per avere accesso pieno alla proprietà intellettuale e alle tecnologie del caccia, un’opzione che non sarebbe percorribile con un velivolo statunitense. Tuttavia, le tensioni regionali, in particolare la competizione con Pechino e il programma J-50 cinese, spingono Tokyo verso una ridefinizione delle priorità operative. Resta in secondo piano, ma non meno rilevante, la questione dell’export. Cingolani ha ricordato come la proiezione internazionale sia parte integrante del progetto, anche se i contatti con nuovi partner, come l’Arabia Saudita, restano per ora gestiti esclusivamente a livello governativo. In questo contesto, le valutazioni industriali si intrecciano con dinamiche geopolitiche complesse, in cui l’autonomia tecnologica e la coerenza strategica diventano elementi imprescindibili.

Il programma Gcap si conferma dunque come un laboratorio multilivello: tecnologico, industriale e politico. L’Italia prova a ritagliarsi uno spazio autonomo, puntando su soluzioni domestiche per i droni, senza però rinunciare alla logica della cooperazione. La scommessa sarà trovare un equilibrio tra ambizioni nazionali, interoperabilità alleata e sostenibilità di lungo periodo. Perché nella sesta generazione, il successo non dipenderà solo dalle piattaforme, ma dalla capacità di integrare visione politica, industria e tecnologia in un’unica architettura coerente.

L’M-346 di Leonardo

L’M-346 di Leonardo è un aereo a getto transonico bimotore e biposto, caratterizzato da alte prestazioni ed elevate capacità di manovra, con comandi di volo e avionica completamente digitali, un sistema di controllo del volo fly-by-wire con ridondanza quadrupla e una moderna interfaccia uomo-macchina.

Il mezzo è tra i più noti e utilizzati addestratori di volo sulla scena internazionale, adottato dalle forze aeree di sei Paesi, con diversi altri attualmente interessati all’acquisto. I sistemi avanzati presenti a bordo consentono di condurre l’addestramento dei piloti in un ambiente di realtà aumentata, in grado di ricostruire scenari operativi complessi in un ambiente simulato per preparare i piloti all’impiego di velivoli di quarta e quinta generazione. La versione FA, in virtù della sua natura di light attack aircraft,  è particolarmente interessante per quei Paesi che vogliono unire le esigenze addestrative a quelle operative. Finora, oltre all’Austria, anche Nigeria e Turkmenistan hanno acquistato esemplari in questa configurazione. Inoltre, è stato recentemente deciso che l’M-346 sostituirà progressivamente l’AMB-339, in servizio alla Pattuglia acrobatica nazionale dal 1982, come nuovo mezzo delle Frecce Tricolori. Il velivolo è adoperato anche presso l’International flight training school (Ifts), la scuola di addestramento nata dalla collaborazione tra Leonardo e l’Aeronautica militare, che accoglie piloti da tutto il mondo presso la base di Decimomannu in Sardegna.

 


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