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Guerre e Nato, niente 5% ma accelerazione sull’industria della difesa

L’Italia ha bisogno di una Difesa credibile, pienamente integrata nel sistema Nato e capace di “contribuire con determinazione alla costruzione di un autentico pilastro europeo della sicurezza”. L’Ue deve essere pronta. In questa direzione, e alla luce del fatto che la Commissione Europea ha esentato l’Italia da nuove misure di risanamento, va anche il ragionamento sul personale e sul possibile cambio legislativo. Ecco cosa ha detto il ministro Crosetto a margine della ministeriale Nato a Bruxelles

Se le scelte della Russia “preoccupano”, come ha spiegato il ministro della Difesa Guido Crosetto a margine della ministeriale Nato a Bruxelles, allora l’Ue deve prepararsi a nuove valutazioni, come l’assunto che difesa e industria della difesa devono accelerare radicalmente, ma senza poter contare sul 5% del pil per le spese militari. Non è un vertice come gli altri quello andato in scena in Belgio, non fosse altro perché a breve ci saranno altri tre appuntamenti significativi come il G7 in Canada del 15 e 16 giugno e il vertice Nato dell’Aia, nei Paesi Bassi, dal 24 al 26 giugno, preceduti il giorno 12 dall’incontro del premier italiano con il Segretario Generale dell’alleanza, Mark Rutte. Tutte occasioni per provare a dare una sterzata ad un panorama sempre più complesso.

Addio 5%?

Principale versante di crisi è ovviamente la guerra in Ucraina. “Non mi preoccupa la Russia in quanto Russia – dice Crosetto – perché non l’ho mai considerata una nazione nemica. Mi preoccupano alcune scelte che vedo fare ultimamente”. Il riferimento è all’aumento del numero dei militari “da 400mila a un milione e seicentomila”, mentre le riserve “arriveranno a 5 milioni”. Appare evidente che nella prospettiva di una pace in Ucraina un numero tale di soldati equivale al più grande “dispositivo che la Russia abbia mai avuto dalla fine della Guerra Fredda”. E dal momento che Mosca non è solita programmare mai nulla per caso, “mi chiedo a cosa servono”. Un ragionamento, quello del titolare della difesa, che si intreccia alla risposta dei paesi membri dell’alleanza atlantica, prima fra tutte quella legata all’aumento della spesa per la difesa.

Per l’Italia, dice Crosetto, spendere il 5% del Pil in difesa come proposto dalla Nato ora è “impossibile”, anche se “può essere una prospettiva – se la fisseranno i leader a lungo termine – un 3,5 per cento che si può raggiungere entro il 2035 e l’1,5 per cento che va slegato dagli investimenti puri nella difesa”. Una gradualità che dovrebbe legarsi a spese che dovrebbero rientrare sotto l’ombrello Nato, come quelle legate a spazio e infrastrutture, e che in più porterebbero una serie di riverberi di natura economica.

Una progressiva strategia per la difesa

Non una semplice trattativa, dunque, tra la richiesta del 5% e la proposta del 3,5% condotta magari diplomaticamente su vari tavoli, ma una riflessione progressiva che potrà essere base per la strategia del paese che deve specchiarsi con i propri conto pubblici. In questa direzione, e alla luce del fatto che la Commissione Europea ha esentato l’Italia da nuove misure di risanamento, va il ragionamento sul personale e sul possibile cambio legislativo. Secondo Crosetto la difesa sta “elaborando un piano sia per rispettare la nostra prima missione, che è quella di protezione dell’Italia, difesa dell’Italia, sia per rispettare le capacità che ci chiede la Nato, perché probabilmente ci servirà un cambio legislativo rispetto agli attuali contingenti previsti, ma questo mi pare sia già chiaro e già emerso nel nostro dibattito anche prima delle richieste della Nato”.

Inoltre sull’attivazione della clausola salvaguardia l’Italia non ha ancora deciso, ha precisato il ministro, aggiungendo che Giancarlo Giorgetti “pensava che questa pausa non potesse valere soltanto per 4-5 anni ma per avere un senso per avere almeno 20-30 anni”. Per cui non è sufficiente teoricamente inserire quei denari a bilancio, “perché l’industria della difesa è rimasta quella di tre anni fa, e invece le richieste e il raddoppio – ad esempio di alcuni bilanci nazionali – porterebbero l’industria a raddoppiare la produzione ma non è ancora avvenuto”.

Il ruolo dell’Italia e le prospettive reali

Quale dunque il ruolo di Roma nel complesso concetto della difesa Ue? Senza dubbio la nomina del generale di divisione Diodato Abagnara dell’Esercito italiano come comandante di Unifil per Crosetto rappresenta un “riconoscimento dell’importante ruolo svolto dall’Italia nell’ambito della comunità internazionale, in un periodo segnato da tensioni e crisi”. L’Italia dunque si conferma garante di pace e sicurezza, rafforzando il proprio impegno a favore della stabilità del Medio Oriente. Altrettanto chiaro però è il nesso politico che andrà valorizzato guardando alle scelte sì future, ma che partono dall’oggi: cerchiata in rosso c’è la strettissima relazione tra difesa e industria della difesa che scontano giocoforza una fase del tutto nuova.

“Innovazione tecnologica, capacità produttiva e agilità amministrativa devono diventare pilastri della strategia nazionale”, ha sottolineato il ministro, proprio perché “viviamo tempi difficili, che esigono risposte forti, e l’Europa ha bisogno di un’Italia forte”. In questa direzione è legittima fisiologica la sottolineatura di un’industria italiana che “è forte, la nostra competenza è riconosciuta, dobbiamo solo crederci e lavorare insieme, uniti”. Per cui due elementi scaturiscono su tutti: primo, che l’Italia ha bisogno di una difesa credibile, pienamente integrata nel sistema Nato e capace di “contribuire con determinazione alla costruzione di un autentico pilastro europeo della sicurezza”; secondo, che l’Ue deve essere pronta. Da subito.


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