Gianfranco Polillo spiega il perché di quelle quattro ore di colloquio tra Macron da un lato e la Meloni dall’altro. Il problema era superare il più rapidamente possibile la vecchia logica dell’asse franco-tedesco. Che, alla lunga non ha dato i risultati sperati
“Se quattro ore vi sembran poche” verrebbe da canticchiare seguendo il reflain di una vecchia canzone popolare. Canticchiare pensando a tutti quei gufi, presenti anche in Italia, che puntavano ancora sul fallimento delle intese tra i due cugini: Francia da un lato, Italia dall’altro. Ed invece così non è stato.
Per comprendere quanto importante sia stato l’incontro tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni basta riavvolgere il nastro. Bruxelles ottobre 2011: Angela Merkel e Nicolas Sarcozy, reduci dalla passeggiata di Deauville, nel corso della quale avevano convenuto ch’era necessario coinvolgere i privati nella ristrutturazione del debito sovrano dei Paesi più esposti, partecipano ad una conferenza stampa congiunta.
La domanda più imbarazzante da parte dei giornalisti presenti riguarda l’Italia. Credete veramente che Silvio Berlusconi sia in grado di portare avanti le riforme promesse? Momento di gelo. Poi entrambi, guardandosi, iniziano a sorridere. Una sorta di segnale contagioso, che, alla fine, contagia tutta la platea. Ed a poco serve il tentativo tardivo del Presidente francese che cinguetta, di aver fiducia «nel senso di responsabilità di tutte le istituzioni italiane, politiche, finanziarie ed economiche». Salvo poi commentare, in un fuori onda con Angela Merkel, riportato da Alain Friedman: “non siamo mai stati tanto efficaci con un semplice film muto”.
Da quell’episodio sono passati più di 10 anni, ma il conflitto italo – francese data fin dai primi del novecento. Senza voler andare oltre, ricordando le vicende legate al Risorgimento italiano ed il sostegno parigino a Papa Re. Si può allora capire quanto siano state importanti quelle quattro ore passate insieme, da Giorgia Meloni e Emmanuel Macron. Specie se si ricorda che, all’interno della maggioranza e dell’opposizione, il Presidente francese non goda di una buona stampa. Ma sia stato più volte duramente attaccato dai leader delle formazioni più massimaliste.
Resta pertanto da spiegare il piccolo miracolo della conversione. Quali sono state le forze che hanno operato fino al punto da far superare vecchie ferite e tracciare una strada diversa nelle relazioni bilaterali? Uno dei principali artefici è stato indubbiamente Vladimir Putin, portatore almeno di due distinti miracoli. L’aver rivitalizzato un organismo morente, qual’era stata la Nato, prima dell’invasione dell’Ucraina. L’aver spinto Francia ed Italia a mettere da parte le beghe del passato, di fronte alle sfide impegnative di un preoccupante futuro. Che riguarda una ben più vasta platea.
La rinnovata aggressività della Russia fa, infatti, paura. Al punto da spingere la stessa Gran Bretagna a rimeditare la vecchia Brexit e ricercare nuove alleanze. Per impegnarsi, quindi, in un programma di ammodernamento delle infrastrutture nucleari, che segna una discontinuità profonda con il più recente passato. In Germania, poi, le novità più sconvolgenti. Le decisioni assunte dal nuovo Cancelliere, Friedrich Merz, in tema di difesa e potenziamento degli arsenali, segnano una cesura profonda rispetto alla stessa Costituzione tedesca. Che è stata modificata proprio al fine di consentire la realizzazione di quel fondo – 500 miliardi di euro – necessario per far fronte alle maggiori spese per la sicurezza. Che ovviamente contemplano anche il riarmo.
A favore della proposta del neo cancelliere che richiedeva una maggioranza dei due terzi del Parlamento hanno votato anche quei partiti che erano al di fuori del perimetro della maggioranza, a dimostrazione di quanto il problema sia sentito, da una collettività che, in passato, aveva ben conosciuto il peso della dominazione russa. Che anche questa volta si possa parlare di un nuovo miracolo, oltre i precedenti, da intestare sempre a Vladimir Putin, è facile immaginare.
L’insieme dei processi, ai quali si è accennato, stanno scrivendo una nuova pagina della storia europea. Si baserà, come è possibile immaginare fin da ora, in una rivalutazione del concetto di “bene europeo”. Di quelle spese, cioè, che sono necessarie per raggiungere obiettivi di carattere primario che riguarderanno l’intera Ue. E di cui quelle per la difesa comune hanno una priorità evidente. Ne deriveranno, in prospettiva, nuove regole di comportamento. Minore ossessione per i vincoli di finanza pubblica e maggiore attenzione ai temi della crescita e dello sviluppo: che richiederanno più domanda interna e meno deflazione dei salari. Anche a costo di sacrificare un po’ dell’attivo della bilancia dei pagamenti. Se non altro per venire incontro alle proteste di Donald Trump.
Comunque sia, saranno, anni difficili. Segnati da una doppia pressione: quella russa alla continua ricerca di una sua maggiore affermazione, quella americana restia, almeno fin quando l’Amministrazione sarà diretta da Donald Trump, ad impegnarsi più di tanto nello scacchiere atlantico. Di fronte alle urgenze legate alla situazione dell’Indo-Pacifico. Per sfuggire alla relativa morsa, l’Europa dovrà ricorrere, pertanto, al massimo del pragmatismo possibile e essere celere nell’esecuzione dei relativi piani. Andranno, quindi, riposti in un cassetto i sogni palingenetici di una democrazia organica, capace di modellare la propria costituzione sui modelli che sono stati tramandati dalla dottrina del ‘900. Ma che purtroppo richiedono i tempi lunghi legati al formarsi di una più generale convinzione.
Occorrerà, invece, organizzare rapidamente un nucleo capace di decidere e guidare il resto dei Paesi verso una prospettiva di maggior sicurezza e relativo benessere. Germania, Francia, Italia e Spagna rappresentano oltre il 73 per cento del Pil dell’Eurozona. Che, a sua volta, è pari a poco meno dell’85% del reddito dell’Unione. Non é tutto, ma nemmeno poco. Se poi a questi dati iniziali si sommano il reddito dei Paesi baltici o di coloro che sono a posti in zone di frontiera con la Russia, come la Polonia o la Bulgaria la massa critica, interessata ad un rapido cambiamento degli assetti geopolitici del continente, aumenta in misura più che consistente.
Ed ecco allora spiegato il perché di quelle quattro ore di colloquio tra Macron da un lato e la Meloni dall’altro. Il problema era superare il più rapidamente possibile la vecchia logica dell’asse franco-tedesco. Che, alla lunga non ha dato i risultati sperati. Ma solo una politica miope, iper conservatrice e bottegaia. Che ha finito per colpire al cuore l’identità dell’Occidente. Trasformando due alleati storici in rivali che si guardano in cagnesco. Ciascuno dei quali pronto a rivendicare esclusivamente le proprie buone ragioni, a danno dell’altro. Mentre il Cremlino, dall’alto delle sue 20 torri, guarda al territorio europeo come ad un grande campo di battaglia, che sarebbe possibile conquistare.