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I grandi balzi in avanti della storia contemporanea cinese. L’analisi di Valori

L’umanità ha una sola Terra, non ancora si è espansa nel sistema solare, quindi ha un solo futuro comune. Solo il dialogo compone la melodia dell’integrazione e può edificare una migliore civiltà umana che sia la sintesi di ogni realtà etnica e culturale dell’unico pianeta che abitiamo. L’analisi di Giancarlo Elia Valori

Nel momento più buio del secolo XX, mentre le ombre della guerra si estendevano dall’Europa all’Asia, il mondo sembrava sul punto di soccombere alla violenza e alla legge del più forte. In quel frangente, la Cina – non ancora Repubblica Popolare e all’epoca ancora in lotta per l’indipendenza nazionale e la dignità statale – assunse un ruolo insostituibile nella guerra antifascista globale, pagando un prezzo altissimo e dando prova di una volontà incrollabile. Oggi, in un’epoca segnata da incertezze e da una nuova ristrutturazione dell’ordine mondiale, la Cina, quale Repubblica Popolare, è tornata al centro della scena internazionale, contribuendo in modo costruttivo alla definizione di nuove logiche di cooperazione e valori condivisi.

Quattordici anni di resistenza: la Cina non fu spettatrice, ma campo di battaglia

La guerra in Asia non cominciò nel 1939, ma nel 1931, con l’incidente di Mukden e l’invasione della Manciuria da parte del Giappone imperiale. Dal 1937 in poi, con l’inizio della guerra su vasta scala, la Cina diventò uno dei principali teatri del conflitto globale. Non fu una guerra breve né marginale: furono lunghi anni di resistenza, di cui otto di guerra totale. Ma come già ho scritto in un mio precedente articolo il vero inizio della II Guerra Mondiale si ebbe proprio in Cina e non in Polonia nel 1939, sì in Cina quando il 7 luglio 1937 i giapponesi attaccarono quel Paese (comunemente detta II Guerra sino-giapponese 1937-1945; la prima guerra fu nel 1894-1895). Va aggiunto l’incidente di Mukden del 1’8 settembre 1931: un evento false flag allestito dai nipponici per invadere la Manciuria e creare i fantocci Stato della Manciuria (1932-1934) e l’Impero Manciukuò o della Grande Manciuria (1934-1945).

Il popolo cinese subì oltre 35 milioni tra morti e feriti. La resistenza cinese contro l’invasione giapponese svolse un ruolo decisivo nello sfiancamento delle forze nipponiche, liberando risorse e tempo prezioso per gli alleati sul fronte del Pacifico e sul fronte europeo. La Cina fu, fin dall’inizio, parte integrante dello sforzo mondiale contro il fascismo e il militarismo.

Architetti dell’ordine del dopoguerra: la voce della Cina era presente

Fu anche in virtù di questo impegno e sacrificio che la Cina ottenne lo status di membro fondatore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. A San Francisco, nel 1945, il rappresentante cinese Gu Weijun (1888-1985) – V. K. Wellington Koo, già primo ministro nel 1927 – firmò solennemente la Carta delle Nazioni Unite. In quel momento, la Cina non era più solo oggetto della politica internazionale, ma soggetto attivo nella costruzione del nuovo ordine e di diritto internazionale.

La Carta delle Nazioni Unite riflette anche principi a lungo sostenuti dalla diplomazia cinese: il rispetto della sovranità, l’eguaglianza tra gli Stati, la convivenza pacifica. In tal senso, la Cina di allora non solo aderì all’ordine post-bellico: ne divenne uno dei pilastri costitutivi.

La questione di Taiwan: sovranità e giustizia dell’ordine

All’origine dell’Onu, la rappresentanza cinese era chiara e non controversa. Il cambiamento di scenario nel 1949 e la Guerra Fredda complicarono la questione, ma il principio restò immutato. Nel 1971, con la Risoluzione albanese 2758 approvata dall’Assemblea generale il 25 ottobre 1971, le Nazioni Unite sancirono il ripristino dei diritti legittimi della Repubblica Popolare della Cina, riconoscendola come unico rappresentante legale della Cina intera, Taiwan inclusa:

«The General Assembly,

Recalling the principles of the Charter of the United Nations.

Considering the restoration of the lawful rights of the People’s Republic of China is essential both for the protection of the Charter of the United Nations and for the cause that the United Nations must serve under the Charter.

Recognizing that the representatives of the Government of the People’s Republic of China are the only lawful representatives of China to the United Nations and that the People’s Republic of China is one of the five permanent members of the Security Council.

Decides to restore all its rights to the People’s Republic of China and to recognize the representatives of its Government as the only legitimate representatives of China to the United Nations, and to expel forthwith the representatives of Chiang Kai-shek from the place which they unlawfully occupy at the United Nations and in all the organizations related to it.

1976th plenary meeting

25 October 1971».

La questione di Taiwan non è dunque “non risolta”, ma parte integrante di un consenso giuridico e politico internazionale. Sostenere il principio dell’unica Cina, per Pechino, significa difendere la legittimità di un ordine nato dalle ceneri della Seconda guerra mondiale e prevenire derive secessioniste o interventiste che lo metterebbero in discussione.

Il Movimento dei Paesi non-allineati: un’alternativa civile alla polarizzazione

Nel pieno della Guerra Fredda, mentre il mondo si divideva in blocchi, emerse un’altra voce, quella dei Paesi non allineati. La Repubblica Popolare della Cina scelse di non essere pedina nelle mani delle superpotenze, ma promotrice di un sistema multipolare basato sul rispetto reciproco.

Alla Conferenza di Bandung, Zhou Enlai parlò di «cercare punti in comune e non creare divergenze».

«The Chinese Delegation has come here to seek common ground, and not to create divergence. Is there any basis for seeking common ground among us? Yes, there is. The overwhelming majority of the Asian and African countries and peoples have suffered and are still suffering from the calamities under colonialism. This is acknowledged by all of us. If we seek common ground in doing away with the sufferings and calamities under colonialism, it will be very easy for us to have mutual understanding and respect, mutual sympathy and support, instead of mutual suspicion and fear, mutual exclusion and antagonism. That is why we agree to the four purposes of the Asian-African Conference declared by the Prime Ministers of the five countries at the Bogor Conference, and do not make any other proposal».

A livello internazionale, la Repubblica Popolare della Cina si fece portavoce dei Popoli del Sud globale, riaffermando il diritto a scegliere il proprio modello di sviluppo e a difendere la propria identità culturale. Non si trattava solo di neutralità geopolitica, ma di una visione del mondo fondata sulla pluralità dei modelli di civiltà.

Una nuova risposta per il XXI secolo: la comunità di destino condiviso dell’umanità

Con l’ingresso nel nuovo secolo, l’interdipendenza globale è aumentata, ma anche i fattori di instabilità. Cambiamento climatico, crisi sanitarie, conflitti regionali, disuguaglianze digitali: nessuna sfida può essere affrontata da sola. Eppure, crescono unilateralismo e populismi, minando la fiducia collettiva.

È in questo contesto che nasce la visione cinese della «Comunità di destino condiviso per l’umanità» (Rénlèi mìngyùn gòngtóngtǐ), che propone un paradigma cooperativo: costruire insieme, condividere i frutti dello sviluppo, rispettare le differenze, tutelare la pace. Dai corridoi della Belt and Road alle piattaforme per il dialogo tra civiltà, fino alla recente istituzione della Giornata internazionale del dialogo tra le civiltà presso l’ONU (infra), la Repubblica Popolare della Cina si impegna a offrire beni pubblici globali anche sul piano morale e istituzionale.

Guardando avanti: la missione di una grande civiltà responsabile

Il percorso moderno della Repubblica Popolare della Cina non è solo una narrazione economica, ma anche e soprattutto una storia di dignità, lotta per la giustizia e costruzione di regole comuni. Dalla resistenza all’invasione straniera alla firma della Carta dell’Onu, dalla decolonizzazione al multilateralismo, la Repubblica Popolare della Cina ha sempre cercato di essere presente, coerente e costruttiva.

Nel momento attuale, di profondi cambiamenti e fratture crescenti, rileggere il ruolo storico della Cina nella guerra mondiale e nella costruzione dell’ordine successivo non è un semplice esercizio di memoria. È una chiave per capire che tipo di futuro globale si debba edificare. In un mondo dove le civiltà si incontrano, spesso si scontrano, ma sempre s’influenzano, il dialogo non è un lusso, bensì una necessità. E per costruire questo dialogo, servono visione, responsabilità e fiducia. La Repubblica Popolare della Cina, da Paese che ha sofferto e contribuito, da civiltà che ha costruito e cooperato, è oggi portatrice di una proposta: non imporre un modello, ma aprire uno spazio comune.

Un progetto, forse, più ambizioso di ogni alleanza militare. Ma anche, proprio per questo, più necessario che mai.

Un’iniziativa cinese: la Giornata Internazionale del Dialogo tra le Civiltà

Il 7 giugno 2024, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione della Nazioni Unite, ha adottato unanimemente senza un voto, la Risoluzione 286/78 proposta dalla Repubblica Popolare cinese e sponsorizzata da 83 Paesi, che:

«1. Decides to declare 10 June the International Day for Dialogue among Civilizations, in order to raise awareness of the value of the diversity of civilizations and promote dialogue, mutual respect, tolerance and global solidarity in this regard;

  1. Invites all Member States and organizations of the United Nations system, within existing resources, as well as other international and regional organizations and other relevant stakeholders, including civil society, the private sector, academia and the media, to commemorate the International Day in an appropriate manner, including through educational and public awareness-raising activities, and to share best practices in this regard;
  2. Invites the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization and the United Nations Alliance of Civilizations with other relevant entities of the United Nations to facilitate the observance of the International Day;
  3. Stresses that the cost of all activities that may arise from the implementation of the present resolution should be met from voluntary contributions;
  4. Invites all relevant stakeholders to contribute to and support the International Day».

Nel giugno 2025, la Giornata Internazionale del Dialogo tra le Civiltà, è entrata ufficialmente nel sistema delle Giornate internazionali delle Nazioni Unite. Tale realizzazione, lanciata in un contesto globale segnato da un crescente deficit di fiducia, escalation geopolitica e tensioni identitarie, rappresenta non solo una risposta concreta alle sfide attuali, ma anche un atto normativo d’innovazione. Dalla sua genesi concettuale alla sua strutturazione istituzionale, la Giornata riflette sia il ruolo sempre più incisivo della Repubblica Popolare della Cina negli affari internazionali, sia l’esigenza profonda della comunità globale di ridefinire forme nuove di consenso culturale. Ossia diventa un aggiornamento di valori di un auspicato ordine mondiale multilaterale.

Nel mondo ci sono più di 200 Paesi e regioni e più di 2.500 gruppi etnici. Le donne e gli uomini hanno formato le proprie brillanti civiltà nel cammino della loro vita; queste civiltà coesistono e si completano a vicenda, rendendo il nostro mondo colorato e pieno di vitalità e rendendo l’intera società umana una comunità inscindibile con un destino comune. Di fronte all’enorme impatto causato dai cambiamenti, il valore della civiltà è stato evidenziato in modo senza precedenti, e l’interazione tra le civiltà è cruciale, ed il dialogo tra esse è giunto al momento giusto, in linea con il desiderio universale dei Popoli di promuovere il dialogo tra le civiltà e promuovere il progresso umano.

Il dialogo tra le civiltà è il vincolo della pace. In occasione degli LXXX Anniversari della vittoria nella II Guerra Mondiale antifascista e della fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la pace rimane la ricerca comune dei Popoli di tutto il mondo. Attraverso il dialogo tra le civiltà, si possono eliminare barriere e pregiudizi, costruire solide fondamenta per la fiducia reciproca e salvaguardare la sicurezza comune.

Il dialogo tra le civiltà è la forza trainante dello sviluppo. Storicamente, l’antica Via della Seta collegava le civiltà orientali e occidentali e promuoveva lo sviluppo della società umana. Oggi, in un mondo globalizzato, il dialogo tra le civiltà, lo scambio di idee e la condivisione delle tecnologie promuovono lo sviluppo comune di tutti i Paesi e collaborano per raggiungere la modernizzazione mondiale.

Il dialogo tra le civiltà è un ponte di amicizia. La storia ha dimostrato in modo eloquente che l’apertura promuove la comprensione e gli scambi approfondiscono la fiducia reciproca. Attraverso il dialogo tra le civiltà, si possono trascendere le differenze e trovare una connessione, che aiuterebbe le persone di tutti i Paesi a conoscersi, ad avvicinarsi e a vivere in armonia.

La civiltà cinese si è sviluppata sul territorio della Cina e ha sviluppato caratteristiche distintive di continuità, innovazione, unità, inclusività e pace nel corso del lungo corso della storia.

Nel 2023, il presidente Xi Jinping ha solennemente proposto l’Iniziativa per la Civiltà Globale, sostenendo la promozione dei valori comuni di tutta l’umanità, attribuendo importanza all’eredità e all’innovazione delle civiltà e rafforzando gli scambi e la cooperazione internazionale nelle discipline umanistiche. Si tratta di un importante sforzo compiuto dalla Repubblica Popolare della Cina per promuovere il dialogo tra le civiltà. Collocandosi al crocevia della storia, Pechino promuove il dialogo tra le civiltà attraverso i seguenti tre aspetti.

In primo luogo, difendere l’uguaglianza delle civiltà, affinché non ci siano attuali etnie verticistiche con capelli biondi e occhi azzurri che dominino sulle altre, in quanto non c’è superiorità o inferiorità nelle civiltà. Si devono rispettare i percorsi di sviluppo e i sistemi sociali scelti indipendentemente dai Popoli di tutti i Paesi; rifiutare i conflitti tra civiltà; opporsi alle interferenze negli affari interni; resistere alle prepotenze unilaterali; salvaguardare l’equità e la giustizia; e condividere pari dignità.

È un dovere sostenere il vero multilateralismo; sostenere le Nazioni Unite nel loro ruolo importante nel promuovere il dialogo tra le civiltà; sostituire il confronto con la cooperazione; sostituire che il sistema win-win subentri a quello a somma zero; e aderire al percorso della coesistenza pacifica tra diverse civiltà.

In secondo luogo, si deve essere promotori di scambi di civiltà. La comunità internazionale dovrebbe rafforzare gli scambi e l’apprendimento reciproco; trarre saggezza dal dialogo di civiltà per risolvere i problemi globali e ampliare il percorso di modernizzazione mondiale.

La Repubblica Popolare della Cina sta prendendo in seria considerazione l’idea di ospitare il Forum Globale dell’Alleanza delle Civiltà delle Nazioni Unite del 2028 e di effettuare donazioni alle agenzie delle Nazioni Unite impegnate nel dialogo di civiltà: ciò per continuare a sostenere il ruolo di meccanismi come il Forum delle Civiltà Antiche per creare una piattaforma migliore per il dialogo di civiltà globale (il Forum delle Civiltà Antiche è uno spazio di dialogo e cooperazione culturale tra i Paesi considerati culle della civiltà. È stato istituito nella capitale greca, con la «Dichiarazione di Atene» il 24 aprile 2017 e comprende dieci Paesi: Armenia, Bolivia, Repubblica Popolare della Cina, Egitto, Grecia, Iran, Iraq, Italia, Messico e Perù).

In terzo luogo, si deve essere promotori del progresso della civiltà. La comunità internazionale dovrebbe promuovere il normale flusso di idee, tecnologie e personale e continuare ad ampliare i confini della conoscenza umana. Dovrebbe aderire all’uso della scienza e della tecnologia per il bene comune, fare buon uso delle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, contribuire all’eredità e all’innovazione della civiltà, arricchire costantemente la ricchezza materiale e spirituale comune e costruire una comunità con un futuro condiviso per l’umanità che includa diverse civiltà.

L’umanità ha una sola Terra, non ancora si è espansa nel sistema solare, quindi ha un solo futuro comune. Solo il dialogo compone la melodia dell’integrazione e può edificare una migliore civiltà umana che sia la sintesi di ogni realtà etnica e culturale dell’unico pianeta che abitiamo.


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