Il governo moldavo accusa apertamente Mosca di voler destabilizzare il Paese in vista delle elezioni parlamentari, puntando al dispiegamento di migliaia di soldati nella Transnistria. Una mossa che si inserirebbe in una più ampia strategia russa per contrastare l’integrazione europea dello spazio post-sovietico
Dispiegare fino a 10.000 soldati su territorio moldavo, e in particolare nella regione separatista della Transnistria. Sarebbe questo l’obiettivo ultimo di Mosca al confine con l’Ucraina, nel contesto di un più ampio piano di destabilizzazione della Moldova e di rafforzamento della propria presenza militare nell’Europa orientale, secondo quanto affermato dal primo ministro moldavo Dorin Recean in un’intervista rilasciata al Financial Times.
Secondo Recean, che afferma di riportare valutazioni dell’intelligence moldava, Mosca intende sfruttare le elezioni parlamentari di settembre per insediare a Chișinău un governo favorevole al Cremlino, che consenta il potenziamento del contingente russo attualmente presente nella regione separatista. La Transnistria, enclave filorussa autoproclamatasi indipendente nel 1992, ospita attualmente circa 1.500 militari con bandiere russe, perlopiù locali arruolati nella cosiddetta “forza di pace”, mentre i soldati effettivamente inviati da Mosca sono ormai una minoranza. Tuttavia, afferma Recean, un governo moldavo compiacente potrebbe aprire la strada a un massiccio incremento delle truppe russe, le quali rappresenterebbero una minaccia diretta sia per il sud-ovest ucraino che per la vicina Romania. Nel frattempo, Chișinău continua a chiedere con forza il ritiro delle truppe russe dalla Transnistria, dove il contingente di Mosca è ufficialmente incaricato di sorvegliare un enorme deposito di armi risalente all’epoca sovietica. La loro presenza, secondo il governo moldavo, rappresenta una violazione della sovranità nazionale.
Il primo ministro accusa apertamente il Cremlino anche delle sistematiche interferenze registrate in passato nei processi democratici del Paese. “È un enorme sforzo per minare la democrazia moldava”, ha affermato Recean, citando operazioni di propaganda online, trasferimenti di denaro illegali a partiti e singoli elettori, e una spesa russa per campagne d’influenza che ha visto un dispiegamento di risorse pari all’1% del Pil moldavo nel 2024.
Già nell’ottobre scorso un referendum sull’adesione all’Ue era passato con uno scarto risicatissimo dello 0,7%, nonostante le alte aspettative dei suoi promotori, anche a causa di una sostenuta campagna di disinformazione e di influenza russa: in quell’occasione le autorità moldave hanno intercettato cittadini di ritorno dalla Russia con fino a 1,2 milioni di dollari in contanti, e identificato almeno 130.000 elettori che avrebbero ricevuto fondi da fonti russe in occasione delle presidenziali.
“Dobbiamo rafforzare la nostra difesa, ma anche mantenere il focus sul nostro obiettivo strategico: diventare membri dell’Ue”, ha ribadito Recean. Una questione tutt’altro che irrilevante nel più ampio contesto: il Cremlino ha sempre cercato di prevenire, nei limiti del possibile, l’integrazione dei Paesi dello spazio post-sovietico all’interno della comunità europea, poiché esso avrebbe limitato la sua capacità di influenza. E il copione delineato dal primo ministro sembra rassomigliare molto a quanto avvenuto in Ucraina nel 2014 o, molto più di recente, in Georgia negli scorsi mesi. Due episodi con dinamiche simili, ma con esiti (al momento) assai diversi.