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Iran, la propaganda e l’attesa degli inevitabili contraccolpi per gli ayatollah. L’analisi di D’Anna

Fra le macerie dell’Iran, mistificazioni e proclami non potranno occultare agli occhi della popolazione la catastrofe nella quale gli ayatollah hanno trascinato il Paese. Eppure è quello che sta facendo il regime islamico, con un fanatismo ostinato e minaccioso che allarma l’occidente. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Dai lanci di missili e bombe ai takes d’agenzia. Meno cruente e sanguinosa degli scontri armati, la guerra di propaganda sta contrassegnando una nuova fase del conflitto in stand by fra Israele ed Iran.

Una guerra di propaganda che utilizza la comunicazione per influenzare l’opinione pubblica e manipolare le informazioni, alla quale partecipano “dall’alto” anche gli Stati Uniti, per parafrasare l’impiego dei bombardieri strategici d’alta quota utilizzati per bombardare i siti nucleari iraniani.

Con un exploit che ha superato i record del nazista Goebbels, che nel 1944 spacciava per vittorie le continue sconfitte della Wermatch tedesca, e di Al-Sahhaf, soprannominato Alì il comico, il ministro del rais iracheno Saddam Hussein che nel 2003 mentre gli americani entravano a Bagdad annunciò in una conferenza stampa televisiva che l’esercito iracheno aveva circondato le forze Usa, la guida suprema della Repubblica Islamica Alì Khamenei, riemerso dal bunker sotterraneo in cui si era nascosto, ha proclamato a reti televisive unificate la “vittoria dell’Iran” sugli Stati Uniti e su Israele.

Nonostante le macerie ancora fumanti dei siti atomici, di tutti gli aeroporti, delle basi militari e delle infrastrutture strategiche, per non parlare della decapitazione di vertici delle forze armate, dell’intelligence e degli scienziati nucleari del suo paese, Khamenei ha annunciato serafico che “sotto i colpi della Repubblica Islamica, il regime israeliano é quasi crollato ed è stato schiacciato”, descrivendo i bombardamenti contro le basi americane in Qatar e in Iraq come uno “schiaffo in faccia all’America”.

Negli Stati Uniti, dove i media sono da sempre allergici alla propaganda, ed hanno messo in dubbio l’efficacia dei bombardamenti dell’US Air Force sostenendo avrebbero solo ritardato il programma iraniano di qualche mese, la direttrice per l’intelligence nazionale statunitense, Tulsi Gabbard, ha invece ribadito che i siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan sono stati totalmente distrutti. Una conferma ufficiale seguita da numerosi riscontri.

Secondo la valutazione della Direzione dell’intelligence delle Forze di difesa israeliane “il danno al programma nucleare iraniano non è un colpo localizzato, ma sistemico”. Per il capo di stato maggiore dell’Idf, tenente generale Eyal Zamir: “I risultati ottenuti ci consentono di stabilire che il programma nucleare iraniano ha subito danni gravi, ampi e profondi ed é stato posticipato di anni”.

Ancora più significativa, perché proveniente da una autorità terza di livello internazionale, la conferma del direttore generale dell’Agenzia delle Nazione Unite per l’Energia Atomica, Rafael Grossi, secondo il quale le centrifughe del sito nucleare iraniano di Fordow “non sono più operative” a seguito degli attacchi statunitensi. Parlando a Radio France Internationale, Grossi ha spiegato che “data la potenza di queste bombe e le caratteristiche tecniche delle centrifughe, sappiamo che non sono più operative, semplicemente a causa delle vibrazioni, che causano danni fisici considerevoli e importanti”.

Grossi ha affermato che il suo team è stato in grado di dedurre le conseguenze del bombardamento “sulla base delle immagini satellitari”. Ed ha aggiunto: “Conosco molto bene l’impianto, é una rete di tunnel con diversi tipi di attività. Quello che abbiamo visto nelle immagini corrisponde più o meno alla sala di arricchimento, è quella che è stata colpita”.

Su quello che è stato definito il mistero dello stoccaggio in ulteriori siti segreti dell’uranio arricchito iraniano, è intervenuto direttamente il presidente Donald Trump che ha rivelato come i veicoli osservati nei pressi dell’impianto nucleare di Fordow fossero “degli operai impegnati a coprire con il calcestruzzo le sommità dei pozzi”, e non indicativi di un tentativo di svuotamento delle strutture.

“Nulla è stato portato fuori dall’impianto. Sarebbe troppo lungo, troppo pericoloso e troppo pesante da trasportare”, ha aggiunto Trump, respingendo le indiscrezioni secondo cui Teheran avrebbe messo in sicurezza parte delle attrezzature sensibili o del materiale fissile prima dei bombardamenti nel sito di Fordow.

La valutazione esatta delle distruzioni inferte, l’intelligence Usa e israeliana la ricaveranno nei prossimi giorni dal monitoraggio diretto e indiretto degli ambienti militari di Teheran e dei vertici dei Pasdaran.

C’é attesa soprattutto per gli inevitabili contraccolpi che i disastrosi 12 giorni di conflitto con Israele, col colpo di grazia del bombardamento americano, determineranno sul regime degli ayatollah, che oltre al quasi annientamento delle forze armate dovrà fare i conti anche con l’isolamento internazionale.

Al netto delle solidarietà verbali e degli incontri senza seguito fra Putin e il ministro degli esteri iraniano, l’Iran è stato infatti lasciato solo da Russia, Cina e soprattutto dall’intero mondo arabo.

La vera reazione a catena del conflitto é quella che sta lievitando all’interno delle molte anime del regime. Due le alternative: un nuovo governo laico aperto alle trattative e alla normalizzazione dei rapporti con l’occidente, oppure una ulteriore radicalizzazione fondamentalista che dietro la facciata dell’apparente “rimozione” della sconfitta, covi un ulteriore segreto tentativo di dotarsi di un’arma nucleare.

Un’incubo che persisterà fino a quando gli ayatollah islamici governeranno l’Iran.


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