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Pragmatismo e industria, così il rapporto Italia-Turchia fa scuola

Nel nuovo ordine geopolitico multipolare, la Turchia sta riaffermando la propria centralità e ambizione globale. L’Italia, tra i pochi Paesi europei a comprenderne la portata, sta costruendo con Ankara un rapporto fondato su pragmatismo e cooperazione industriale. Droni, difesa e nuove alleanze segnano una fase che potrebbe ridefinire gli equilibri regionali e transatlantici

Il mondo, specie quello della Difesa, sta cambiando rapidamente e profondamente. Vecchie alleanze si stringono o si allentano, e nuovi allineamenti prendono forma. Mentre l’Europa riflette su come gestire il rapporto con gli Stati Uniti e su come costruire un effettivo pilastro europeo all’interno dell’Alleanza Atlantica, c’è un attore che continua a rimanere fuori da diverse triangolazioni, nonostante una rilevanza, sempre più accentuata, sullo scacchiere internazionale: la Turchia.

Ormai da alcuni anni Ankara ha deciso di rilanciare il proprio ruolo di attore regionale con ambizioni globali. Lo fa potenziando le proprie Forze armate (seconde per entità numerica solo a quelle statunitensi all’interno della Nato), espandendo la sua rete di alleanze e puntando su un’industria della difesa sovrana e sempre più in grado di porsi come pari nelle trattative con i suoi corrispettivi continentali.

In questo contesto, stupisce come pochi attori internazionali stiano affrontando (o, piuttosto, non affrontando) la cosa. Vuoi per le diversità di vedute su principi e valori, vuoi per le strizzate d’occhio alla Russia di Vladimir Putin o per le mire (mai celate) di Ankara su Cipro Nord. Eppure, la Turchia è ormai un tassello imprescindibile delle nuove dinamiche mediterranee e mediorientali. Questo vale anche sul piano industriale: Ankara è ormai un punto di riferimento globale nel mercato dei droni da combattimento. Il campione nazionale in questo ambito, Baykar, ha saputo trarre molte lezioni dagli sviluppi sul campo di battaglia in Ucraina e ha adeguato di conseguenza i suoi progetti di sviluppo e produzione, puntando al contempo su un rafforzamento complessivo di tutti gli altri segmenti, da quello aereo a quello terrestre.

È alla luce di tale rilevanza che bisogna leggere i recenti allineamenti tra la Turchia e l’Italia. Roma sembra essere infatti la capitale europea che meglio ha capito come relazionarsi con un partner complesso come Ankara. Insieme, i due Paesi stanno costruendo un’alleanza industriale che si basa sul mutuo riconoscimento delle rispettive eccellenze e sullo sviluppo di sinergie pragmatiche.

La cessione di Piaggio Aerospace a Baykar (su cui ci si aspetta che il governo sciolga la riserva sull’applicazione del Golden Power a breve) e la creazione della nuova joint venture con Leonardo — la quale si candida a dominare il mercato europeo dei droni — si inscrivono perfettamente in questo schema. 

D’altronde, lo ha detto chiaramente anche il ministro Guido Crosetto, durante un dibattito sulla difesa europea, riferendosi proprio alla Turchia: “Il primo modo di difendersi è non regalare alleati ai propri nemici”. In un mondo soggetto a cambiamenti tanto repentini quanto profondi, Ankara è un partner che fa gola a molti attori, e di cui Europa e Nato non dovrebbero dimenticarsi. Non solo in virtù della posizione strategica della Turchia, ma anche e soprattutto alla luce del fatto che Ankara è determinata a tornare a contare, se necessario anche senza i suoi Alleati di lunga data, se questi decidessero di tenerla fuori dai nuovi club della sicurezza collettiva.

Davanti al bivio tra chiusura e inclusione, l’Italia ha saputo trovare una interessante via di mezzo. Niente Turchia coinvolta (soprattutto economicamente) nei programmi di riarmo più propriamente “europei” — vale a dire quelli che puntano a creare sistemi ex novo —, ma, allo stesso tempo, collaborazioni mirate e strategiche per quei campi (come i droni) in cui l’impellenza dei necessari adeguamenti operativi per le Forze armate impediscono di cominciare completamente da capo. Collaborazioni che, peraltro, permetteranno alle aziende turche di diventare (grazie alla joint formula con Leonardo) rivenditori privilegiati in Europa.

L’epoca del bipolarismo è finita, così come ogni velleità di poter ricondurre le dinamiche odierne alla rigida ripartizione in blocchi tipica della Guerra Fredda. Nel nuovo ordine multipolare, in cui le alleanze possono essere sia granitiche sia più sfumate, ogni mossa vale per se stessa e va inserita in una lettura multilivello fatta di intese mirate e pragmatismo geopolitico. E questo — almeno riguardo al rapporto con la Turchia — l’Italia lo ha capito prima degli altri. Ancora molto resta da definire nel rapporto Ankara-Roma, non ultimo il delicatissimo dossier Libia (e il destino dei suoi giacimenti di idrocarburi), però, almeno per il momento, la linea del pragmatismo sta pagando e promette di continuare a farlo.

 


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