Il vertice di Roma ha evidenziato la possibilità di convergenza tra il Piano Mattei italiano e il Global Gateway europeo in Ma è cruciale evitare sovrapposizioni e ambiguità, rafforzando il coordinamento e costruendo un linguaggio comune
Il vertice di ieri a Roma tra Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, leader africani e rappresentanti delle istituzioni finanziarie europee ha mostrato come Piano Mattei e Global Gateway possano interagire. Non si sovrappongono, ma entrano inevitabilmente in contatto: uno lavora sul piano bilaterale, l’altro su quello multilaterale. E l’Italia si propone come piattaforma di raccordo tra i due.
Il Piano Mattei si muove con logica nazionale, promuovendo accordi diretti e flessibili con singoli Paesi africani. Il Global Gateway è invece la cornice strategica dell’Unione europea per sostenere infrastrutture sostenibili, digitalizzazione, energia e trasporti nel Sud globale. Fin qui, le due iniziative sembrano compatibili. Ma è bene mettere sull’avviso chi legge e chi negozia: nei Paesi riceventi, questa distinzione non sempre è chiara. Il rischio concreto è che l’approccio bilaterale italiano e quello multilaterale europeo vengano percepiti come due canali alternativi, potenzialmente in concorrenza tra loro.
Se non ben coordinati, potrebbero aprirsi spazi di ambiguità, soprattutto in termini di governance, condizioni di accesso ai fondi e priorità strategiche. Da qui la necessità – emersa chiaramente nel vertice di ieri – di rafforzare le cabine di regia congiunte, evitare sovrapposizioni progettuali e costruire un linguaggio comune tra Roma e Bruxelles. Non per uniformare tutto, ma per rendere coerenti obiettivi, strumenti e tempi d’esecuzione.
Sul piano concreto, i progetti in campo sono numerosi. Eni è presente in 14 Paesi africani con operazioni nel gas e nelle rinnovabili. In Algeria punta sull’ammoniaca blu, in Mozambico gestisce piattaforme offshore, in Egitto partecipa allo sviluppo dell’idrogeno verde. Terna studia interconnessioni elettriche tra Nord Africa e Italia, Leonardo fornisce sistemi per la sicurezza costiera, Fincantieri lavora a possibili collaborazioni nella cantieristica navale. Il Fondo italiano per il clima ha già attivato 4 miliardi.
In parallelo, i primi 90 progetti del Global Gateway in Africa spaziano dai cavi digitali ai centri sanitari, dai poli educativi ai nodi logistici. Il sistema Medusa (cavi sottomarini tra Europa e Nord Africa), i centri di formazione professionale in Ghana e Senegal, i piani per l’elettrificazione rurale in Kenya sono già in fase operativa. Il nuovo accordo tra CDP e BEI mira proprio a evitare doppioni e a costruire percorsi finanziari comuni.
E qui arriva il passaggio più concreto. Servono meno annunci e più cantieri, meno burocrazia e più risultati. Le risorse sono disponibili, ma spesso si perdono nei tempi dilatati dei meccanismi europei. Non possiamo più permetterci lentezze: il mondo va di corsa, anche in Africa. E chi arriva dopo trova già altri player a occupare spazio. Mentre l’Europa discute, la Cina firma contratti e costruisce strade.
L’Italia può fare la differenza, ma solo se agisce con metodo. Il Piano Mattei non è (e non deve diventare) un’iniziativa concorrente al Global Gateway. Può esserne uno dei bracci operativi, utile per accelerare l’esecuzione sul campo. A condizione, però, che ci sia chiarezza di ruoli, rispetto delle regole europee, e una visione condivisa. Altrimenti il rischio è di indebolire entrambi i percorsi, disperdendo credibilità e risorse.
Il vertice di Roma ha mostrato che una convergenza è possibile, ma richiede lavoro quotidiano, coordinamento vero e decisioni rapide. Un passaggio utile, non ancora risolutivo. Ma se ben gestito, può far sì che l’Italia diventi il punto di equilibrio ( magari non l’unico) tra Bruxelles e le capitali africane. Una posizione che vale la pena giocarsi, con intelligenza e senza perdere tempo.