Secondo l’ex-militare le operazioni cinesi attorno all’arcipelago non sono episodi isolati, ma fanno parte di una strategia coordinata per legittimare un eventuale controllo diretto dell’arcipelago. “Il passo successivo sarebbe lo sbarco e l’annessione”
Nel teatro indo-pacifico l’isola di Taiwan rappresenta senza dubbio alcuno il focus mediatico delle crescenti tensioni geopolitiche, dovute dalla volontà cinese di riprendere quello che considera come un proprio territorio. Ma le rivendicazioni di Pechino non si fermano affatto alla sola Formosa. Dall’arcipelago delle Spratly (controllato dalle Filippine) alle Isole Paracel (su cui esercita la sovranità il Vietnam), sono numerose le pretese territoriali avanzate da Pechino. Pretese sostenute anche attraverso operazioni non-convenzionali definite nella terminologia cinese come “gray zone tactics”.
Tra i territori ambiti da Pechino rientrano anche le isole Senkaku (o isole Diaoyu, in lingua cinese), un arcipelago disabitato all’interno della prefettura giapponese di Okinawa. Nelle scorse settimane sono stati registrati alcuni episodi di tensione in prossimità di queste isole: il 3 maggio, un elicottero della guardia costiera cinese si era alzato in volo “in risposta” all’avvicinarsi alle isole da parte di un aereo (civile) giapponese; pochi giorni dopo, la nave da ricerca oceanografica cinese Hai Ke 001 è stata espulsa dalla zona economica esclusiva giapponese dopo essere stata sorpresa a operare circa 140 miglia a nord-est dell’isola Taisho, mentre inseriva in acqua uno strumento non meglio definito; il 14 giugno, due navi della guardia costiera cinese sono entrate nuovamente nell’area. A questi eventi si aggiunge il posizionamento di boe cinesi nelle acque giapponesi per la ricerca marittima, e lo schieramento di due gruppi di portaerei cinesi vicino alle isole in questione.
“Il passo successivo sarebbe lo sbarco e l’annessione” ha commentato Kiyofumi Iwata, ex-capo di stato maggiore della Forza di autodifesa terrestre giapponese, in un’intervista rilasciata al quotidiano Sankei. Secondo il militare nipponico, quanto fatto fino ad ora da Pechino sarebbe “un esercizio di proclamazione della propria sovranità […] cercando di stabilire un precedente per la loro rivendicazione territoriale”. Con la guardia costiera di Pechino che si sta “già preparando” per una potenziale operazione di presa delle isole. “Hanno costantemente migliorato le loro attrezzature e capacità, compreso il dispiegamento di navi, le operazioni in elicottero e l’addestramento specializzato per il personale incaricato di sbarcare e svolgere le missioni a terra”, ha dichiarato Iwata.
Azione che potrebbe avvenire all’interno di un framework giuridico ben preciso. “Sul fronte legale, Xi Jinping ha modificato nel 2024 i regolamenti che autorizzano la detenzione di navi e persone straniere che entrano in quelle che la Cina rivendica come proprie acque territoriali”, ha proseguito Iwata, aggiungendo che le esercitazioni della guardia costiera di Pechino assomigliano sempre più a esercitazioni navali su larga scala.
Secondo Ryo Hinata-Yamaguchi, professore associato presso l’Istituto di Strategia Internazionale dell’Università Internazionale di Tokyo, vi è un ampio consenso sul fatto che la Cina abbia l’intenzione di acquisire il controllo delle isole contese nel Mar Cinese Orientale sottraendolo al Giappone, alla luce della crescente pressione e presenza cinese nella regione, attuata attraverso le già menzionate “gray zone tactics” già da diversi anni. Tuttavia, Hinata-Yamaguchi sottolinea che un’eventuale occupazione delle isole Senkaku avrebbe per Pechino un valore strategico limitato, se non come parte di un disegno più ampio che potrebbe includere altre isole giapponesi, come Yonaguni, al largo di Okinawa. Queste isole periferiche, dotate di basi militari giapponesi, potrebbero essere percepite da Pechino come ostacoli a future operazioni su Taiwan o come punti chiave per rompere l’accerchiamento imposto dalla prima catena di isole che limita l’accesso della marina cinese al Pacifico.