Antonio Zanardi Landi, ambasciatore dell’Ordine di Malta presso la Santa sede, analizza le grandi sfide, allo stesso tempo filosofiche, politiche ed ecclesiali che si pongono al nuovo pontefice
L’elezione di Papa Leone XIV avviene in un momento storico che vede la situazione internazionale più turbata e instabile da molti decenni a questa parte. Inevitabile che il nuovo pontefice debba dedicare una parte importante del suo tempo e delle sue energie alle grandi crisi aperte oggi e ai temi che riguardano le condizioni in cui la Chiesa si troverà domani a esercitare la sua missione in un mondo in rapidissimo cambiamento. Nel lontano 1993, Limes titolò “Le città di Dio. Il mondo secondo il Vaticano” con un inevitabile richiamo a La città di Dio scritta da sant’Agostino intorno al 400, fondatore dell’ordine a cui appartiene Papa Leone XIV.
Trent’anni fa le reazioni oltretevere alla pubblicazione del volume dedicato alla geopolitica della Chiesa furono interessate, ma non unanimemente positive, forse proprio per il fatto che il magistero potente di san Giovanni Paolo II esercitava allora, che lo si volesse o meno, un influsso geopolitico di grande peso sull’intero continente e, forse, era ritenuto preferibile non sottolinearne la valenza politica a scapito di quella, vigorosissima, morale e spirituale. Ricordiamo quel richiamo a un’Europa che andasse dall’Atlantico agli Urali? Memorabile il discorso che tenne all’aeroporto di Leopoli nel 2001: “Il mio augurio è che l’Ucraina possa inserirsi, a pieno titolo, in un’Europa che abbracci l’intero continente dall’Atlantico agli Urali”. La visione di una grande area integrata spiritualmente, moralmente e politicamente che andasse dall’oceano al confine tra Russia europea e quella asiatica – insieme alla felice metafora per cui l’Europa deve respirare con due polmoni, quello della spiritualità cattolico-romana e quello della tradizione orientale e bizantina – ha segnato profondamente il dibattito intra ed extra ecclesiale e ora appare purtroppo essere stata inghiottita dalla tragedia ucraina.
Il concetto di geopolitica affiancato a quello della diffusione del messaggio del Cristo appariva inoltre quasi fuori luogo e sembrava voler togliere qualcosa al ruolo dello Spirito Santo, al Paraclito del Veni creator spiritus che tutto il mondo ha potuto ascoltare dalla Cappella Sistina dopo l’elezione del nuovo pontefice. Eppure oggi il mondo ha crisi aperte gravissime e la Chiesa si troverà nella necessità di continuare a svolgere un ruolo di guida morale che inevitabilmente tocca il campo della politica. I governanti affluiti in san Pietro per i funerali di Papa Francesco, l’inaugurazione del pontificato di Leone XIV e gli incontri ricercati ai margini delle celebrazioni – la conversazione in San Pietro tra Trump e Zelensky in primis – dimostrano l’enorme capacità di attrazione del papato e tutte le potenzialità per svolgere un ruolo molto significativo a livello globale. E il nuovo Papa ha infatti immediatamente dimostrato disponibilità a esercitare buoni uffici e a offrire il Vaticano come sede dei negoziati per una pace in Ucraina. Di geopolitica vaticana, tanto più se riferita a Leone XIV, delle cui idee nel campo della politica internazionale sappiamo ancora molto poco e che si presenta con una fortissima carica di spiritualità, si può peraltro oggi scrivere solo con grande prudenza e senso del limite, formulando ipotesi e avanzando per tentativi.
Le grandi sfide, allo stesso tempo filosofiche, politiche ed ecclesiali che si pongono al nuovo pontefice mi sembrano principalmente essere: il rapporto con gli Stati Uniti, il “pendolo” verso l’Estremo oriente, la riconquista dell’Europa, o meglio del cuore degli europei, le persecuzioni dei cristiani in tante aree del mondo e la difesa della libertà religiosa e infine, immediate e drammatiche, le grandi crisi aperte a Gaza e in Ucraina, ma anche in Myanmar, in Sudan, nel Sahel e tanti dei 54 conflitti che si combattono nel mondo. Senza dimenticare la prosecuzione dell’azione a favore del disarmo, la grande vittima di questi ultimi anni in cui l’intero sistema degli accordi per la limitazione degli armamenti, tanto convenzionali che nucleari, è collassato. “Pace disarmata e disarmante” è la frase pronunciata dal nuovo Papa immediatamente dopo l’elezione, che sembra costituire una parte importante nel programma del pontificato. “Non americanizzerà la Chiesa, ma il suo papato è un’opportunità per gli Stati Uniti” ha detto padre White OP, rettore dell’Angelicum, ove il nuovo Papa ha conseguito un dottorato magna cun laude nel 1987.
Leone XIV sembra in effetti la persona più adatta a ricucire un rapporto positivo tanto con la Chiesa degli Stati Uniti, ricca di fermenti vitali, ma anche di correnti fortemente critiche nei confronti di Papa Francesco, quanto con l’amministrazione Trump che, per certi versi, è sembrata ontologicamente diversa e incompatibile con il magistero di Francesco. L’attuale pontefice, anche sull’onda dell’entusiasmo per il primo successore di Pietro nordamericano, riuscirà a dar vita a un modus vivendi che permetterà alla Chiesa di trarre il meglio dal Paese più innovativo e dinamico al mondo. Le modalità della repressione dell’immigrazione clandestina rimarranno forse il punto più delicato nel rapporto con Washington, ma non il solo. Per quel che riguarda l’Estremo oriente e la Cina, il precedente papato aveva dimostrato di ben comprendere che alla grande crescita economica dell’area si accompagna quella di potenzialità di sviluppo umano, culturale e scientifico e, per quel che riguarda la Chiesa, di vocazioni e di entusiasmo. Alle aperture nei confronti della Cina popolare (e Pechino ha, per la prima volta nella storia, rivolto le proprie felicitazioni per l’elezione del nuovo Papa) si è accompagnata un’attenzione particolare nei confronti delle Chiese dei Paesi dell’area, tanto che in conclave i cardinali dell’Asia erano il 17% del collegio, pur rappresentando solo il 10% dei fedeli a livello globale.
Il Pivot to Asia (and to China) ha avuto molte critiche, soprattutto negli Stati Uniti e l’elezione di Leone XIV sembra “riportare il pendolo” a occidente, ma l’ultima “preghiera dei fedeli” della messa di inaugurazione del Pontificato è stata in cinese ed è sembrata un segnale di continuità con l’azione di Francesco. L’Europa, con molte e bellissime eccezioni, sembra oggi un terreno su cui la Chiesa sta perdendo la propria battaglia per il grave calo delle vocazioni, della pratica religiosa, dei matrimoni celebrati in Chiesa e per le difficoltà registrate negli ultimi anni con le chiese di alcuni Paesi, in particolare quella tedesca. Anche qui molte speranze sono riposte nel fatto che il Papa americano potrà con la sua semplicità di approccio e la sua spiritualità agostiniana, fare il miracolo e invertire trend negativi, anche perché si ha l’impressione che oltreoceano si sia consapevoli, forse più di molti di noi, dell’importanza vitale delle radici storiche e culturali della Chiesa che, oltre che mediorientali, sono profondamente europee. Leone XIV sarà, come i suoi predecessori, senza “divisioni” da gettare nella battaglia e la Chiesa avrà solo lo strumento della sua diplomazia e la forza del suo messaggio.
Il “terreno” è oggi più difficile, ostico e scivoloso: fino all’inizio del secolo il grande ruolo politico, o geopolitico, effettivamente avuto dai pontefici del Novecento era in gran parte collegato al fatto che la Chiesa contrastava precise ideologie incompatibili con il Vangelo e con l’antropologia cristiana. L’opposizione al nazismo, iniziando dall’enciclica Mit brennender sorge promulgata nel 1937 da Pio XI e l’altrettanto ferma opposizione all’ideologia comunista contenuta nell’enciclica Divini redemptoris, che seguì cinque giorni dopo, proseguita poi fino all’inizio del millennio con san Giovanni Paolo II, mostrano con grande chiarezza i contorni cultural-politici, oltre che religiosi dell’opposizione della Chiesa ai totalitarismi.
Oggi viviamo, invece, in un mondo senza ideologie, dominato da poteri che competono tra loro al di fuori di un quadro ideologicamente chiaro e con obiettivi che appaiono essere la conquista o il mantenimento di un primato o l’acquisizione di nuove fonti di energia, di minerali strategici e, in fondo, di potere. Più difficile e problematico dunque per la Chiesa poter prendere posizioni contro qualcosa di molto reale, ma ideologicamente non definito. Solo un Papa nato a Chicago, che ha servito ed è stato amato in Perù, studiato a Roma e occupato una posizione delicatissima in Curia, e con radici religiose profondissime nelle algerine Tagaste e Ippona, potrà affrontare con serenità una battaglia che appare sovrumana.
Formiche 214