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La guerra israeliana è ripartita da Gaza. Il punto con Dentice

Dopo venti mesi di guerra, Dentice (OsMed) evidenzia come si sia arrivati in una fase di ritorno all’origine: la dimensione regionale quasi sullo sfondo rispetto alle dinamiche interne alla Striscia di Gaza e Cisgiordania, con la frattura interna a Israele che “non è un fronte separato, ma parte dello stesso problema esistenziale che oggi Israele si trova ad affrontare”

A venti mesi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele si trova immerso in una guerra che non accenna a finire. Anzi, secondo  Giuseppe Dentice, che sin dalle prime ore dell’inizio di questa stagione di guerra commenta mensilmente con Formiche.net l’evoluzione degli eventi, stiamo tornando a qualcosa di simile alla situazione iniziale. Per l’analista nell’Osservatorio Mediterraneo (OsMed) dell’Istituto per gli Studi Politici S. Pio V, “il quadro odierno ricorda, in modo paradossale, le primissime fasi del conflitto, quando l’attenzione era ancora tutta concentrata su Gaza e Cisgiordania, e la dimensione regionale sembrava quasi sullo sfondo”. Oggi, osserva, la linea d’intervento israeliana è fortemente introversa: dettata più da dinamiche domestiche che da una strategia regionale coerente: “Il rischio è che Israele si faccia trascinare in una guerra di logoramento senza un reale risultato da raggiungere”.

“Le scelte del governo Netanyahu sono guidate soprattutto da esigenze interne — afferma Dentice — e lo dimostrano la spinta decisa verso l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania e, soprattutto, l’ipotesi di una futura riapertura delle colonie nella Striscia di Gaza, una volta raggiunta la piena occupazione del 75% del territorio”. Una mossa che risponderebbe alle pressioni dell’ala più estremista dell’esecutivo e a un tentativo di coprire – anche sul piano narrativo – le falle politiche e strategiche del governo.

La campagna militare, sostiene Dentice, sta cercando di “coprire il vuoto” e ottenere successi simbolici, come l’eliminazione di figure di rilievo di Hamas. Ma il bilancio operativo è ancora deficitario. “L’uccisione di Mohammed Sinwar, fratello del leader storico Yahya, è stata certamente un colpo mediatico – spiega – ma sul piano strategico non basta. La verità è che Israele non ha ancora raggiunto l’obiettivo di neutralizzare Hamas. La minaccia è tutt’altro che contenuta”.

Al contrario, l’offensiva sta minando ulteriormente la reputazione internazionale del governo di Benjamin Netanyahu, con riflessi sul Paese. “La narrativa globale — nota Dentice — è sempre più critica. Le immagini provenienti da Gaza, con l’assenza di beni essenziali come acqua, elettricità e cibo, alimentano una condanna morale e umanitaria crescente, su cui fanno leva sia Hamas sia i suoi oppositori”. Questo ha un costo. E non solo d’immagine.

L’analista sottolinea come persino Paesi tradizionalmente vicini a Israele inizino a prendere le distanze. “La Germania, da sempre partner fedele per motivi storici e politici, ha minacciato, con il nuovo governo di Friedrich Merz, la sospensione degli aiuti militari. È un segnale fortissimo. Vuol dire che la soglia di tolleranza è stata superata”.

In questo quadro, l’Italia si distingue per una postura ambigua: condanne a parole, ma nessuna presa di posizione decisa. “Roma appare defilata”, osserva Dentice. “È una posizione che riflette probabilmente un calcolo politico, ma che rischia di risultare inconsistente sul piano internazionale”. E l’Unione Europea? “Frammentata. Incapace di esprimere una linea unitaria sulla questione israelo-palestinese. Assistiamo a un ‘grande freddo’ diplomatico, ma in un contesto così fluido tutto può cambiare rapidamente”.

Sul piano regionale, le polveriere non mancano, ma sembrano per ora sotto controllo. “Il Libano è una preoccupazione latente, ma oggi meno pressante. La Siria resta un fronte problematico ma congelato, gestito, seppur in contrapposizione, da due potenze per procura: Israele e Turchia”.

Dentice mette però in guardia su un possibile riaccendersi della crisi in caso di svolte sul dossier nucleare iraniano. “Il canale di dialogo tra Washington e Teheran, anche se solo tattico, potrebbe portare Israele a reagire con forza. Netanyahu chiede da tempo una linea più dura contro l’Iran. Ma la Casa Bianca, almeno per ora, sembra non voler accontentarlo”.

L’isolamento crescente di Israele si riflette anche al suo interno, dove le tensioni sociali e politiche stanno montando. “Il fronte domestico è estremamente caldo — avverte Dentice — e le divisioni interne rischiano di degenerare. Lo stesso storico Benny Morris ha parlato mesi fa del rischio di una guerra civile in Israele. Una lettura forte, certo, ma che fotografa un clima di polarizzazione acuta”. La frattura interna, aggiunge, “è il vero fattore di vulnerabilità del Paese, e si salda con le vicende di Gaza e Cisgiordania: non è un fronte separato, ma parte dello stesso problema esistenziale che oggi Israele si trova ad affrontare”.


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