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Le sfide della deterrenza atlantica nell’era della velocità. Il dialogo Cavo Dragone-Vandier

Durante il Nato Public Forum all’Aja, gli ammiragli Cavo Dragone e Vandier hanno delineato le priorità strategiche dell’Alleanza: colmare il debito di capacità, accelerare i tempi decisionali e rendere operativi i nuovi target militari. L’esperienza ucraina, le sfide del procurement e il peso dell’opinione pubblica emergono come snodi critici nel percorso verso una Nato più pronta e coesa. Tra innovazione sul campo e limiti strutturali, si delinea un equilibrio difficile ma necessario

In occasione del Nato Public Forum organizzato all’Aja in concomitanza con il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Alleanza, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare della Nato, e l’ammiraglio Pierre Vandier, supreme allied commander transformation, hanno discusso sulle sfide e le opportunità che l’Alleanza si trova davanti, dalle lezioni operative apprese in Ucraina al delicato tema dei nuovi target di spesa che verranno discussi dai leader atlantici.

Mentre le minacce si moltiplicano e accelerano, l’Alleanza deve fare i conti con decenni di sottoinvestimenti, lentezze strutturali e un debito industriale che oggi rappresenta una vulnerabilità strategica. “Abbiamo un debito. Un debito di capacità”, ha sintetizzato Vandier. Il riferimento è alla combinazione letale di tagli alla difesa post-Guerra Fredda, ritardi tecnologici e lentezze burocratiche che oggi rischiano di minare la capacità di deterrenza della Nato.

La lezione ucraina

Il campo di battaglia dell’Ucraina continua a offrire lezioni preziose per l’Alleanza. Basti pensare all’operazione Spiderweb, condotta dalle forze ucraine mediante un attacco multidominio ideato con mezzi non convenzionali, droni commerciali e infrastrutture civili.

“È stato molto intelligente”, ha spiegato Vandier. “Forse irripetibile, ma hanno ideato insieme il concetto e l’arma. Hanno utilizzato strumenti commerciali per innescare l’attacco. È un’operazione tipo cavallo di Troia, pensata e realizzata in poche settimane”.

Per Cavo Dragone, le conseguenze per i dispositivi militari alleati sono evidenti: “Fino a cinque-sette anni fa usavamo i droni solo per ricognizione. All’improvviso sono diventati vere e proprie armi, sia come decoy che per attacco diretto. Spiderweb dimostra l’uso perfetto delle forze speciali, partite da territorio nemico e rientrate intere. Questo significa qualcosa”.

Il nodo della velocità

Se l’innovazione ucraina è figlia della necessità, le democrazie occidentali sembrano invece ostaggio della loro complessità decisionale. “Per trent’anni abbiamo creduto di esserci lasciati alle spalle le grandi guerre”, ha detto Vandier. “Rob Bauer ha stimato, in questo lasso di tempo, circa 8.600 miliardi di disinvestimenti. Ora siamo in una corsa in cui la cosa più importante è la velocità. Ogni giorno dobbiamo essere migliori, ogni attimo perso a discutere e non decidere è tempo sprecato”.

Concorde su questo punto anche Cavo Dragone. “Serve rapidità, anche nei cicli di approvvigionamento. Spesso abbiamo perso di vista i reali requisiti operativi. Avere più soldi non deve significare comprare le stesse cose a un prezzo maggiore. Devono servire per comprare di più, e meglio”.

La sfida del procurement

L’Alleanza ha da poco ridefinito i suoi obiettivi di capacità militare per i prossimi quattro anni. Il problema, però, è che molti dei precedenti target restano ancora disattesi. “È un processo continuo”, ha spiegato Cavo Dragone. “Il Capability Target 2025 tiene conto di ciò che è stato (o non è stato) raggiunto nel 2021. È un aggiornamento logico, che va tarato sulle esigenze reali”.

Vandier ha precisato che, per la prima volta, il Ndpp (Nato defence planning process) è stato allineato direttamente con i piani operativi del Comando supremo alleato in Europa (Saceur). “Abbiamo consegnato alle nazioni obiettivi specifici: numeri di aerei, battaglioni di artiglieria, requisiti chiari. Non è più solo una cifra in un documento, è un impegno concreto. Ogni Stato sa cosa deve fare”.

E per evitare che questi impegni restino lettera morta, l’Alleanza avvierà un monitoraggio annuale. “La Nato aiuterà i Paesi a fare procurement in modo congiunto. Le consegne saranno verificate ogni anno”, ha spiegato Vandier.

Una nuova economia della difesa

Il nodo resta industriale: si può spendere di più, ma la capacità produttiva europea è oggi troppo debole per soddisfare la domanda. “Il denaro non basta. Servono anni per costruire fabbriche, formare lavoratori e produrre mezzi”, ha avvertito Vandier. “Ma possiamo agire subito. Ad esempio, nel Baltico abbiamo impiegato 40 navi civili in un mese per compensare la carenza di fregate. Lo stesso vale per lo spazio: usiamo soluzioni commerciali per guadagnare tempo mentre l’industria si organizza”.

Si tratta di un approccio più agile, in grado di rispondere a un fabbisogno che, secondo i dati, registra fino al 400% di mancanza in determinati settori. “Abbiamo bisogno di massa, ma a costi sostenibili”, ha detto Vandier.

L’importanza dell’opinione pubblica

L’aspetto forse più delicato resta quello politico. Non tutti i Paesi hanno lo stesso grado di percezione della minaccia e, quindi, di slancio verso l’aumento della spesa militare. Cavo Dragone è stato netto: “Ogni nazione ha un’opinione pubblica, ha degli elettori. È irrealistico non tenerne conto. Ma oggi tutti sono consapevoli della necessità. Il punto è come arrivarci”.

Il riferimento implicito è al 5% del Pil investito nella Difesa, da raggiungere entro il 2035. “Ci vorranno dieci anni, ma ogni anno ci sarà una verifica. È un percorso che va adattato Paese per Paese”, ha detto l’ammiraglio.

E poi, la questione temporale. “La Russia oggi produce granate al posto dei frigoriferi. E continuerà a farlo anche dopo la guerra. Ricostruiranno le scorte. Noi dobbiamo essere pronti a fronteggiarlo in 3-5 anni. Serve una proiezione chiara nei prossimi cinque, dieci, vent’anni”.

“Siamo tutti in prima linea”

Sullo sfondo, il tema della coesione. “Il consenso è proporzionale alla distanza dal campo di battaglia”, ha notato Cavo Dragone. “Ma è in questi momenti che emerge la coesione dell’Alleanza. Dopo l’11 settembre, Paesi lontani dall’epicentro della crisi hanno scelto comunque di combattere. L’Europa ha perso 918 vite in Afghanistan. Questo è ciò che chiamiamo unità”.

Vandier ha chiuso con un monito e un auspicio: “Se gli europei non hanno ancora capito cosa sta succedendo, allora li aspetta un decennio molto duro. Ma credo che il consenso crescerà. Se vogliamo preservare il nostro stile di vita e la nostra libertà, dobbiamo accettare di difenderli”. “Non siamo in guerra, ma non siamo neanche in pace. Siamo in una pace ibrida”, ha poi aggiunto.


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