Un manifesto interno e una leadership in bilico. A Berlino la Spd si scopre spaccata tra il riarmo voluto da Klingbeil e il ritorno alla distensione invocato dai nostalgici della diplomazia brandtiana
Il Partito Socialdemocratico ha aperto ieri un congresso federale segnato da forti dissidi interni, legati principalmente alle tematiche della difesa e delle relazioni con Mosca. Al centro delle tensioni vi è una crescente spaccatura tra la leadership attuale, rappresentata dal segretario Lars Klingbeil, e la vecchia guardia, legata alla tradizione della Ostpolitik di Willy Brandt.
A guidare la fronda interna è Peter Brandt, figlio dello storico cancelliere e docente di storia, che ha firmato un manifesto critico nei confronti del piano di riarmo sostenuto dal governo. Il documento diffuso alla vigilia dell’apertura del congresso, pur riconoscendo la necessità di rafforzare le capacità difensive della Germania e dell’Europa, invita a “un ritorno graduale alla distensione e alla cooperazione con la Russia”, inserendo ogni iniziativa militare in una strategia di de-escalation e di costruzione della fiducia reciproca.
Peter Brandt ha accusato Klingbeil di aver avallato l’aumento delle spese militari senza un vero confronto con la base: “Non è detto che la maggioranza degli iscritti sia d’accordo con questa linea. È un problema”. Klingbeil, attuale ministro delle Finanze e vicecancelliere nel governo guidato dal cristiano-democratico Friedrich Merz, ha proposto un aumento del 70% del bilancio della difesa entro il 2029, in linea con la cosiddetta Zeitenwende annunciata dall’ex-cancelliere Olaf Scholz dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Ma il partito è tutt’altro che compatto su questo cambio di rotta.
Il rischio per il governo è concreto: la coalizione dispone di una maggioranza di appena 13 seggi e l’opposizione interna potrebbe complicare l’approvazione di leggi cruciali su budget, consegne di armi e reintroduzione della leva obbligatoria. Secondo il politologo Uwe Jun dell’Università di Treviri, i dissidenti “non sono la maggioranza, ma nemmeno una piccola minoranza”. Molti provengono dalla tradizione pacifista degli anni ’70 e ’80 e restano scettici su tutto ciò che riguarda la dimensione militare.
Tra i firmatari del manifesto c’è anche Ralf Stegner, che lo scorso aprile ha partecipato a un incontro in Azerbaigian con esponenti russi, tra cui un ex-primo ministro e un funzionario sanzionato dall’Ue. Stegner, che sedeva nella commissione parlamentare di controllo dei servizi segreti, ha difeso la propria condotta: “Bisogna continuare a parlare con tutti. Questo non significa essere d’accordo o fare da agenti segreti”.
Peter Brandt ha dichiarato che la minaccia russa è sopravvalutata: “Non credo che la Russia attaccherà la Nato. Ha mostrato le sue debolezze in Ucraina”. Ha inoltre definito “irrazionale” l’obiettivo della Nato di portare le spese per la difesa al 5% del Pil, sostenendo che “l’approccio razionale sarebbe iniziare con un’analisi delle minacce”. Klingbeil ha replicato che lo stesso Willy Brandt, pur insignito del Nobel per la Pace nel 1971, aveva gestito bilanci della difesa superiori al 3,5% del Pil.