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Petrolio nervoso, Borse calme. La guerra tra Israele e Iran vista dai mercati

I listini azionari hanno ritrovato la serenità, dopo un primo scossone iniziale. Segno che per gli investitori il conflitto è ancora da decifrare. Il fianco più esposto è, semmai, quello dell’energia

Il risveglio dei mercati, nel primo lunedì dopo l’apertura delle ostilità tra Israele e Iran è all’insegna dell’attesa, anche se non sono mancate le dovute eccezioni. Tra queste l’impennata del petrolio. Se infatti sui listini dell’azionario domina ancora la calma, sul versante energetico la guerra tra Israele e Iran continua a far salire il prezzo dell’oro nero, con il Wti quotato di buon mattino a 71,95 dollari, in aumento dello 0,93%, mentre il barile di Brent si è portato 74,88 dollari (+0,88%).

Il nervosismo è presto spiegato. L’Iran contribuisce oggi con 3,3 milioni di barili di greggio al giorno (in gran parte comprati dalla Cina attraverso flotte ombra che aggirano le sanzioni) su un consumo globale di circa 104 milioni di barili. Con il 3% dell’offerta mondiale in pericolo è tutto sommato normale che i prezzi del petrolio siano esplosi. Meno male che, pur nella preoccupazione per il quadro internazionale, tirano invece un sospiro di sollievo i produttori americani di greggio da roccia di scisto (shale oil) che hanno costi di produzione a volte anche sopra i 50 dollari a barile e stavano entrando seriamente in crisi.

Rimanendo nel campo del petrolio, come hanno spiegato gli esperti di Neuberger Berman, sebbene “i prezzi abbiano parzialmente ritracciato in seguito all’emergere di ulteriori informazioni che suggeriscono che la risposta immediata dell’Iran potrebbe essere misurata, la volatilità resta elevata e i premi per il rischio sono sensibilmente aumentati”. E molto dipenderà dalla possibilità, più o meno concreta che sia, che Teheran chiuda con un colpo di mano lo stretto di Hormuz, braccio di mare che collega il Golfo dell’Oman, ovvero il tratto del Mare Arabico compreso fra la costa dell’Oman e quella più meridionale dell’Iran da cui passa passa circa il 30% del petrolio mondiale, al Golfo Persico.

Ancora l’energia. Non è solo il petrolio a vivere momenti di tensione: anche i mercati del gas naturale hanno reagito con forza. I prezzi europei si sono stabilizzati, ma restano sotto pressione per il rischio di interruzioni delle forniture di Gnl. “Pur avendo migliorato lo stoccaggio e diversificato le fonti, l’Europa rimane molto sensibile a qualsiasi minaccia ai flussi dei principali produttori del Golfo o all’aumento dei rischi per la navigazione attraverso lo Stretto di Hormuz”, scrive Neuberger. Di qui il discorso si ricollega facilmente all’oro che, come spesso accade nei momenti di alta incertezza geopolitica, ha ripreso il suo ruolo tradizionale di porto sicuro, guadagnando un 2% nelle ultime ore in termini di quotazione.

Rimane però, sullo sfondo, il vero termometro della tensione globale: le Borse. Lo scorso venerdì, nelle ore dell’attacco israeliano, a Wall Street l’indice Dow Jones ha perso oltre 500 punti nelle prime ore di contrattazione, trascinando al ribasso anche gli altri principali indicatori della borsa americana. I titoli delle aziende tecnologiche, che negli ultimi mesi avevano trainato la crescita dei mercati, sono stati tra i più colpiti dalle vendite. La paura si è rapidamente diffusa anche nelle altre borse del mondo. In Asia, Tokyo ha chiuso con un calo dello 0,89%, Seoul ha perso lo 0,87% e Hong Kong si è fermata con una perdita dello 0,59%. Mentre Milano ha lasciato sul terreno l’1,3%.

Ma ecco il rimbalzo e quella clama sui listini poc’anzi menzionata. Con le Borse europee che si sono mantenute positive per tutta la giornata: Francoforte a +0,24%, Parigi a +0,58% e Milano +0,66%. E nemmeno tanto mosso lo spread Btp/Bund, a quota 96. Segno che gli investitori non sono nel panico. Per i mercati, una parte almeno, la guerra è ancora tutta da decifrare.


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