La Procura europea ha smantellato una rete criminale cinese responsabile di una maxi-frode fiscale da 700 milioni. L’Italia è tra i principali Paesi colpiti, con merci introdotte e vendute nel mercato nero. Il caso rivela la penetrazione sistemica di reti cinesi nelle filiere logistiche europee, mentre il ministro Wang arriva a Bruxelles per trattare le relazioni commerciali con Pechino
Una maxi frode doganale e fiscale legata a reti criminali transnazionali cinesi è stata smantellata grazie a un’operazione coordinata dall’Ufficio del Procuratore europeo (Eppo), con il supporto di Europol, dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) e di diverse autorità giudiziarie e investigative nazionali. Tra i Paesi colpiti in modo diretto figura l’Italia, reale destinazione di molte delle merci illecitamente introdotte nell’Unione Europea.
L’indagine, denominata in codice “Calypso”, ha portato alla luce un sistema fraudolento su larga scala, costruito per evadere dazi doganali e imposte sul valore aggiunto attraverso un uso strategico di porti, paper company, triangolazioni fiscali e hub logistici informali. L’impianto criminale sarebbe riconducibile a gruppi guidati da cittadini cinesi e avrebbe causato un danno stimato di circa 700 milioni di euro, di cui 250 milioni relativi ai dazi doganali non versati e 450 milioni di evasione fiscale.
Le merci — tra cui e-bike, monopattini elettrici, tessili, calzature e altri beni — entravano nell’Unione principalmente dal porto del Pireo, in Grecia, un’infrastruttura strategica sotto controllo cinese e da tempo osservata per i suoi profili di vulnerabilità. Il meccanismo prevedeva l’importazione a valore sottodichiarato, spesso mediante classificazioni merceologiche errate, per abbattere l’imponibile doganale. Le merci venivano poi fatte transitare formalmente attraverso società di comodo registrate in Bulgaria ma dotate di partita Iva greca, sfruttando la Procedura Doganale 42, che consente l’esenzione dall’Iva se le merci sono destinate ad altri Stati membri dell’Ue.
In realtà, i beni non raggiungevano mai i destinatari formali. Venivano invece stoccati in hub logistici clandestini gestiti da reti criminali cinesi nei Paesi di destinazione reale — tra cui l’Italia — per poi essere distribuiti e venduti in nero sul mercato parallelo, alimentando l’economia sommersa e compromettendo il gettito fiscale. I documenti di trasporto venivano distrutti dopo la consegna e la tracciabilità delle merci era deliberatamente cancellata. Le autorità giudiziarie parlano di una catena logistica parallela, funzionalmente autonoma, opaca e inaccessibile dall’esterno.
Nel corso delle operazioni, secondo le informazioni fornite da Eppo, sono stati effettuati 101 raid in quattro Paesi (Grecia, Francia, Spagna, Bulgaria). Le forze dell’ordine hanno sequestrato 5,8 milioni di euro in contanti, valute estere (inclusi dollari di Hong Kong), criptovalute e wallet digitali, oltre a 7.133 biciclette elettriche, 3.696 monopattini elettrici, e 480 container attualmente sotto controllo nel porto del Pireo. Sono stati inoltre sequestrati 11 immobili in Spagna, 27 veicoli, beni di lusso come borse, orologi e gioielli, nonché armi da fuoco e da taglio trovate presso le abitazioni di alcuni indagati. Dieci persone sono state arrestate, inclusi due funzionari doganali.
Il caso rivela una dimensione sistemica della criminalità economica legata alla Cina in Europa. Non si tratta più di attività più marginali come la contraffazione, ma di un controllo completo delle catene logistiche, fiscali e finanziarie, dall’importazione alla distribuzione, fino al riciclaggio transnazionale dei proventi. I flussi economici generati da queste attività non vengono reinvestiti localmente, ma rimpatriati in Cina tramite operazioni di riciclaggio commerciale o con l’uso di canali bancari paralleli.
Il fatto che l’Italia sia una delle principali destinazioni di queste merci evidenzia due vulnerabilità: da un lato la permeabilità del sistema logistico e fiscale; dall’altro la capacità delle reti criminali cinesi di insediarsi strutturalmente nel tessuto economico sommerso del Paese. I centri logistici informali, spesso ubicati nelle aree industriali minori o in prossimità di porti e hub di trasporto, operano come enclave chiuse, accessibili solo ai membri delle reti criminali.
Il tempismo dell’operazione è significativo. La notizia del blitz arriva mentre il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, è in missione in Europa, con tappe a Bruxelles, Berlino e Parigi, per promuovere un’agenda commerciale tra Pechino e l’Unione. Il contrasto è evidente: mentre la diplomazia cinese spinge su cooperazione e apertura, la realtà investigativa mostra l’esistenza di flussi paralleli illeciti che danneggiano la sicurezza economica e fiscale degli Stati membri.
Le attività smantellate possono davvero dirsi estranee al sistema-Stato cinese? In un contesto autoritario e centralizzato come quello della Repubblica Popolare, la distinzione tra iniziativa privata, economia grigia e tolleranza statale è spesso sfumata. Secondo uno studio della Brookings Institution, le reti criminali cinesi operano sempre più in una grey zone, dove strumenti economici e illegali si intrecciano con interessi strategici. È una dinamica già osservata, ad esempio, nei traffici illeciti di precursori chimici per il fentanyl: attori formalmente privati ma funzionali, consapevolmente o meno, agli obiettivi geopolitici di Pechino.