È essenziale che al percorso sinora svolto dall’arte contemporanea si affianchino anche altri strumenti e altre azioni, affinché le prossime generazioni, che saranno sempre più assuefatte dalle immagini e dall’immateriale, possano trovare nell’arte una produzione culturale e simbolica densa e ambigua, pregna di domande, capace di far vedere il mondo con uno sguardo differente dal proprio, in grado di innescare creatività, pensieri eversivi, idee brillanti
L’arte contemporanea può davvero aiutare il nostro sviluppo? Non sempre ciò che si vuole è effettivamente ciò di cui si ha bisogno. È interessante notare quanto questa frase fatta possa assumere un differente peso se pensiamo al rapporto la l’arte contemporanea e la società.
Riformuliamo: la nostra arte contemporanea fornisce alla nostra società ciò che questa società vuole o ciò di cui ha bisogno? Se assumiamo che l’arte contemporanea abbia tendenzialmente perso, nel tempo, quella carica trasformativa che invece ha avuto in un passato non molto lontano, allora è semplice affermare che l’arte contemporanea si è concentrata sempre più su ciò che la società mostrava di volere.
Tutto ciò è accaduto per una serie molto ampia di fattori, che vanno dalla spettacolarizzazione delle immagini alla necessità che l’arte ha maturato di sviluppare un proprio alfabeto che, per quanto sofisticato, permettesse ad una serie di persone di leggerne il linguaggio.
Da quando questo meccanismo ha smesso di creare abbastanza adepti da sostenere l’intera infrastruttura, l’arte ha dunque avviato un’estensione del proprio linguaggio, tenendo ad aprire il proprio linguaggio affinché i suoi messaggi avessero un maggior numero di riceventi.
Di fronte a tali circostanze, e quindi di fronte al fatto che così facendo l’arte stia dando alla società ciò che la società vuole, molti critici tendono ad affermare che l’arte debba nuovamente riprendere quei percorsi di ricerca che siano in grado di sviluppare un linguaggio completamente autonomo, in una logica di alfabeto estetico globale in grado di essere decifrato soltanto attraverso l’affinamento delle proprie capacità di lettura.
Tuttavia, se spettacolarizzare l’arte la indebolisce, promuoverne una visione completamente assolutistica fa altrettanto.
C’è una tecnica, in ambito di persuasione, che si chiama “piede nella porta”. Era molto in voga nel secolo scorso, nell’epoca in cui ai venditori veniva letteralmente chiusa la porta in faccia. Bene, questa tecnica consiste nel cercare di trovare una ragione per fare in modo che il potenziale destinatario non chiuda la testa di fronte ad un messaggio che si vuole provare a trasmettere.
L’arte spettacolistica degli ultimi tempi può essere interpretata in alcuni casi secondo questo tipo di meccanismo, ma troppo spesso questo meccanismo non è stato governato in vista di altri obiettivi, è stato semplicemente “subito”, e, così facendo, quello che era un meccanismo “intermediario” è divenuto un fine.
E così, l’idea che sempre più persone entrassero nei musei, che ben si poteva immaginare come uno strumento per poi spingere le persone ad interessarsi di arte, si è ridotta alla conta dei record. O, analogamente, l’idea che con un bonus di 500€ si creassero nuovi lettori, ha poi dimostrato che, togliendo quel bonus, le vendite sono calate in modo più che proporzionale.
L’idea dell’arte spettacolistica, o anche di un’arte che si omologa ad un codice interpretativo omogeneo, ha seguito più o meno lo stesso percorso: poteva essere uno spiraglio nella testa delle persone, ma ha esaurito il proprio potenziale divenendo intrattenimento.
Partendo da queste condizioni, dunque, cosa manca?
Manca una verità di fondo all’interno dell’espressione artistica. Una verità genuina. Alla base dell’arte c’è la necessità che alcune persone hanno di sviluppare una ricerca e un’espressione di tale ricerca utilizzando strumenti specifici. Se da un lato la necessità di sviluppare un dialogo porta ad utilizzare un linguaggio gremito di vocaboli ad alta ricorrenza, dall’altro però, ci deve essere anche la capacità di introdurre, all’interno del discorso, un termine che è per lo più sconosciuto ai più, senza che ciò abbia un carattere respingente.
Lemma dopo lemma, si potrà raggiungere dunque un livello di dialogo in cui chi parla può utilizzare i termini che ha in mente, e non quelli che deve usare per essere compreso. Questo si ottiene attraverso una connessione sempre più forte con i codici simbolici attuali, e con una sempre più forte integrazione con le azioni che vengono ad oggi condotte in modo prioritario.
In primo luogo attraverso la condivisione dei mattoncini che insieme costruiscono la grande cattedrale dell’arte contemporanea attuale. Se da un lato può essere utile smussare molti dei loro angoli affinché possano essere compresi da coloro che intendono i mattoncini come esclusivamente rettangolari, dall’altro è necessario formare sin da subito le nuove generazioni alle loro forme più naturali, che di “rettangolare” hanno ben poco.
Questo significa anche sviluppare linguaggi che si sviluppano in simbiosi con le evoluzioni tecnologiche. La nostra educazione visiva plasma, letteralmente, ogni ambito della nostra esperienza, anche quegli ambiti che tendenzialmente immaginiamo ben distanti da ciò che chiamiamo arte. Basti pensare che molte immagini dell’universo vengono scattate in bianco e nero e poi “colorate” da scienziati e da team grafici.
Se da un lato dunque la formazione acquisisce un ruolo essenziale nel fare in modo che le persone possano comprendere i vocaboli dell’arte, è altrettanto importante riportare l’attenzione ai contenuti che quell’arte veicola.
Contenuti che possono anche riscoprire un tessuto territoriale comune: a discapito di quanto gli sviluppi delle tecnologie di comunicazione ci portino a credere, non viviamo affatto in un mondo sempre-uguale ad ogni latitudine. Basta allontanarsi dai centri urbani per comprendere che il modo di intendere la vita, il tempo, e i grandi valori che regolano l’esistenza umana, varino in modo considerevole tra un piccolo comune greco e un piccolo comune islandese.
Linguaggio e contenuto allora possono differenziarsi, ed avere anche un sottostrato comune di conoscenza territoriale. Questo significa, detto in altri termini, che data la stretta correlazione tra linguaggio e contenuto, alcune opere potranno essere immediatamente assorbite in determinati contesti e da determinate persone piuttosto che da altre.
Significa altresì che l’arte che si concentra su una base di conoscenza comune, possa rendere il contenuto immediatamente percepito, e quindi riportare l’attenzione al linguaggio utilizzato, così da sviluppare una conoscenza dell’arte e delle sue espressioni intuitiva, ma da approfondire.
Un’arte che è viva in un territorio significa un’arte in grado di dialogare con persone molto differenti. Può sembrare assurdo, ma è molto probabile che l’opera di un piccolo artista di provincia esposta nella piazza comunale incontri una maggiore diversificazione di persone di quella che può incontrare un’opera in un’importante galleria d’arte a livello internazionale.
Sviluppando l’arte sulla base di un confronto concreto con una grande varietà di persone, si innescano ulteriori elementi che altrimenti è impossibile sviluppare: si incrementa la capacità di penetrare nella vita delle persone, e di essere sempre più diffusa tra soggetti differenti; diviene un elemento comune all’interno di un territorio ed in quanto tale identitario; diviene uno dei fattori che educano alla conoscenza del mondo; avvia, necessariamente, un dialogo con altri soggetti culturali e creativi, in una logica di reciproco scambio, e non di isolazionismo concettuale.
Oggi è difficile che un artista emergente partecipi attivamente ad una sfilata di moda. Ma se in un piccolo Paesino c’è uno stilista e c’è un artista contemporaneo, è molto probabile che questi due soggetti si influenzeranno a vicenda.
È dunque essenziale che al percorso sinora svolto dall’arte contemporanea si affianchino anche altri strumenti e altre azioni, affinché le prossime generazioni, che saranno sempre più assuefatte dalle immagini e dall’immateriale, possano trovare nell’arte una produzione culturale e simbolica densa e ambigua, pregna di domande, capace di far vedere il mondo con uno sguardo differente dal proprio, in grado di innescare creatività, pensieri eversivi, idee brillanti.
Questo può cambiare in meglio la nostra società.
Se invece vogliamo accontentarci di un’arte in grado di stupire, allora non sorprendiamoci quando sarà davvero difficile recuperare, in un’opera d’arte, quella stratificazione di contenuti e simboli che in genere è lecito attendersi dal lavoro di un artista.