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Tranquilli, con i referendum non ha vinto nessuno. L’opinione di Guandalini

I 5 referendum erano una resa dei conti dentro la sinistra, nel campo largo e nel Pd in particolare. E il flop dell’irraggiungibile quorum non ha fatto altro che accentuare la malattia espansa dell’astensionismo degli elettori. L’opinione di Maurizio Guandalini

Della loro allergia, atto superfluo di recarsi in cabina elettorale e votare. Non ne vedono la necessità rispetto a una classe dirigente di centro, destra e sinistra che una volta al governo non mantiene le promesse elettorali. Quando i partiti del campo largo hanno abbracciato e sostenuto i referendum della Cgil hanno dato il colpo mortale. Fin tanto era il sindacato a proporli, un’associazione che non siede in Parlamento e che non ha responsabilità dirette a legiferare, tutto bene madama la marchesa. Quando si sono buttati a pesce i partiti che per primi hanno visto la possibilità di dare una spallata al governo Meloni e regolare i conti dentro il Pd, spostando, com’è avvenuto, il dibattito della campagna elettorale, a quel punto l’esito è stato segnato.

Si è passato ad altro evidenziando quei mali tutti italiani dei rancori mai sopiti, delle contraddizioni, dei ritardi e della risoluzione dei problemi un tanto al pezzo.

Dei rancori, contro Renzi premier Pd che ha fatto il jobs act e ha il pregio di essere stato un solitario innovatore progressista della sinistra. Quale miglior occasione di un referendum contro il jobs act, che danni non ne ha fatti, anzi, per rimuovere un ingombrante personaggio che da sinistra ha osato sfidare il sindacato sul terreno delicato del lavoro e da lì mettere ordine nel Pd e nel campo largo e ripartire per una remuntada contro il Governo Meloni? Il gesto dei dirigenti del Pd di appropriarsi dei voti di coloro che sono andati al seggio elettorale è un atto di totale inopportunità. Un abbaglio di sostanza. Quello che continua a mancare al centrosinistra è un programma strong che cancelli ogni contraddizione di posizioni (anche quelle sul tema armi e guerra in Ucraina) e regole certe dello stare insieme per evitare di assistere a una ‘discolandia’ continua con dispetti e sgambetti che offrono la certezza agli elettori che non potranno mai combinare nulla di buono.

Delle contraddizioni, perché è assurdo che il Pd di oggi si rimangiasse una legge, il jobs act, che ha espressamente voluto e sottoscritto appena dieci anni fa nella persona del suo segretario e premier di allora, Matteo Renzi. Questa è l’espressione plastica del tafazzismo dentro la sinistra. Farsi male regolando i conti tra maggioranza e opposizione interna. Tra chi sta con la segretaria e chi timidamente si distingue. E, infatti, dopo il mancato quorum si è già aperta all’interno del Pd quella fase critica nei confronti della segretaria Schlein che da tempo era attesa e non c’era mai l’occasione giusta per iniziarla.

Dei ritardi perché quei cinque referendum non fanno altro che riflettere da quanto tempo si trascinano alcune questioni come quella del lavoro, ad esempio. Dopo il voto referendario incontro un padre che mi aggiorna sulla figlia neolaureata in pedagogia ora assunta come tuttofare in un negozio di frutta a 6 euro l’ora. Di contro gli ho chiesto se erano andati a votare. Il loro no tuonante mi risuona ancora. Chi sta a Roma chiacchiera e si dimentica del fare per i cittadini, mi dice il genitore seccato. Come dargli torto? Pretendere che la gente si rechi in cabina quando è da oltre venti anni che l’Italia è fanalino di coda nella remunerazione salariale e chiunque (sindacato e istituzioni comprese) oggi si sveglia nel gridare lo scandalo, ecco di fronte a questo vociare sbilenco viene d’istinto al rozzo qualunquista pensare, ma prima questi fenomeni dove stavano? Il ragionamento non è ultroneo rispetto al crack referendario. Quei quesiti stridevano rispetto la realtà problematica che ci circonda da mesi, da anni ormai. La connessione, Italia- Europa-Mondo, il legame stretto tra le diverse questioni richiede cambi di rotta, di verso, non all’acqua di rose. Con rammendi allarmistici qua e là. Siamo di fronte a classi dirigenti che girano su se stesse. Povere. Gracili, poco attrezzate alla cura gentile delle comunità. Spesso disordinate, riversate a discutere di piccoli equivoci senza importanza.

Da qui discende la risoluzione dei problemi un tanto al pezzo. Perché i quesiti dei referendum sono parti, sono flash, patchwork di questioni più ampie che non puoi risolvere con un voto che poi non risolve nulla. Il permesso di cittadinanza da 10 a 5 anni che vuol dire quando tutta la disciplina che riguarda l’immigrazione è un irrisolto da far spavento. Dall’integrazione alla sicurezza. Lo stesso ragionamento si può fare per i temi sul lavoro che non può essere solo jobs act quando c’è bisogno di uno statuto dei lavori, delle professioni (nelle piccole partite Iva c’è il vero precariato), di una strategia industriale che coinvolga insieme operai e imprenditori (azionariato dei dipendenti, salari, sollievo fiscale, il vantaggio competitivo di alcune nazioni europee), togliere il valore legale del titolo di studio se vogliamo vi sia reale competizione nelle Università e nei luoghi di lavoro tutelati da ordini corporativi barocchi.

Ha perso il papà del più importante sindacato italiano. Un presentimento Landini avrebbe dovuto sentirlo in pancia. Che quel quorum referendario non l’avrebbe raggiunto visto il precedente della rivolta sociale made in Cgil mai decollata, un’eccellente intuizione programmatica che non ha avuto presa. Non ha interessato il sonnacchioso tran tran del cittadino vessato da un’alta inflazione, basso salario, bollette all’insù. Immaginare di smuovere il moloch inappetente al voto, da più consultazioni, per dei referendum flash che non cambiavano granché il destino degli italiani, era e rimane un’illusione dentro le menti di chi, forse, ha perso qualche collegamento con la realtà.

Non ha vinto il governo Meloni perché intestarsi a proprio onore l’astensione corrente non è mai cosa buona e giusta. Anzi quell’astensionismo, proprio per i ragionamenti fatti, dovrebbe preoccupare i partiti in vista delle prossime elezioni politiche. Bene ha fatto Noi Moderati, forza di centro, capitanata da Maurizio Lupi, a impegnarsi per recarsi al voto e mettere la croce su 5 No. È una prassi che va rivalutata. Le campagne elettorali referendarie comunque si dovrebbero fare senza cercare espedienti o appigli che alimentino il preoccupante clima di non voto che sta interessando il nostro Paese.


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