Tra dossier ancora aperti, istanze industriali e un contesto geopolitico in rapido mutamento, la presidenza danese eredita un mandato chiave per il futuro della politica farmaceutica europea
A distanza di due anni dalla proposta iniziale della Commissione, la riforma della legislazione farmaceutica europea entra nella fase finale con un assetto politico radicalmente trasformato. Al timone della presidenza del Consiglio dell’Ue, da luglio, ci sarà la Danimarca, Paese con un peso industriale rilevante nel settore e una visione tradizionalmente favorevole alla tutela dell’innovazione, chiamato ora a mediare tra spinte divergenti. Il cosiddetto pharma package, primo aggiornamento della normativa in oltre vent’anni, mira a rafforzare la competitività dell’Europa e al tempo stesso migliorare l’accesso dei pazienti alle terapie. Tra i temi più dibattuti, la durata dell’esclusività di mercato per i farmaci orfani, il periodo di protezione dei dati regolatori (Rdp) e la garanzia di una distribuzione capillare dei farmaci. La proposta iniziale della Commissione, guidata allora dalla commissaria Stella Kyriakides, aveva suscitato perplessità da parte dell’industria, preoccupata per l’impatto di un indebolimento delle tutele sulla capacità innovativa.
UN NUOVO PANORAMA
Da allora, lo scenario è cambiato. Le elezioni europee dello scorso anno hanno prodotto un Parlamento più orientato al sostegno industriale e la nuova Commissione ha assunto un profilo marcatamente pro-competitività, anche grazie all’influenza dei rapporti Draghi e Letta sulla politica economica e industriale dell’Unione. Ma non solo. Anche sul piano internazionale, infatti, le pressioni non mancano. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, le promesse di maggiori investimenti da parte delle aziende farmaceutiche intente a spostare quote maggiori della manifattura oltreoceano, e il potenziale rafforzamento delle barriere tariffarie per farmaci made in Europe rischiano di ridurre l’attrattività del continente come mercato di riferimento per l’innovazione.
IL DOSSIER NELLE MANI DI COPENHAGEN
In questo quadro, la presidenza danese eredita un mandato delicato. Da un lato, deve rappresentare l’equilibrio trovato in Consiglio sotto la presidenza polacca, che ha ammorbidito alcune delle proposte originarie. Dall’altro, deve gestire le attese di un settore – quello farmaceutico – che soprattutto in Danimarca è parte essenziale del tessuto economico nazionale. Con aziende come Novo Nordisk e Lundbeck, l’industria farmaceutica in Danimarca è uno dei principali motori del Pil e delle esportazioni. Non è un caso che già nel 2023 il Paese scandinavo avesse manifestato preoccupazione per l’ipotesi di tagli troppo drastici alle protezioni brevettuali. Ma il ruolo della presidenza – è bene ricordarlo – è anche quello di mediatore delle diverse istanze. Resta pertanto da vedere quale equilibrio verrà trovato sotto la guida di Copenhagen. La Danimarca potrebbe cercare di chiudere il dossier entro la fine del suo semestre – tempistica condivisa anche da Olivér Várhelyi, commissario alla Salute e al benessere animale, che punta anche a portare a traguardo il Critical medicines act entro fine anno – prima che il testimone passi a Cipro, Paese d’origine di Kyriakides. I triloghi sono già partiti in questo mese conclusivo della presidenza polacca, e vedremo se e come l’agenda danese imprimerà un’accelerazione.