Il pericolo di estensione del conflitto e l’escalation a una guerra mondiale non riguarda né Russia né Cina. Pur potendo aumentare d’intensità, il conflitto fra Israele e Iran rimarrà regionale. Potrebbe però coinvolgere altri attori. I possibili scenari nell’analisi del generale Carlo Jean
L’intervento della Russia nella crisi tra Iran e Israele dipende dal contesto internazionale e sicuramente in linea teorica almeno è una delle possibili escalation del conflitto. In realtà essa è del tutto improbabile. Innanzitutto perché la Russia può fare militarmente ben poco per aiutare l’Iran, anche solo con l’intensificazione degli attacchi in Ucraina. Potrebbe solo fornire a Teheran mezzi contraerei e antimissili. Essi diverrebbero operativi a cose fatte. In passato, ha fornito all’Iran molte batterie, astenendosi però dal dargli quelli dell’ultima generazione – gli S-400 – che sarebbero stati in condizioni di contrastare in maniera efficace l’attacco aereo israeliano. Inoltre, Mosca non aveva neppure sostituito gli S-300 con gli ultimi S-400. Diverse batterie di S-300 erano state fornite in passato dalla Russia, ma esse erano state distrutte nell’ottobre scorso dai raid israeliani effettuati prima dell’elezione di Trump.
Dopo l’attacco israeliano nella notte fra il 12 e il 13 giugno, Putin si è limitato a protestare, a condannare Israele e a tempestare il mondo (Israele, Iran, Usa, ecc.) con telefonate in cui invitava alla limitazione del conflitto e si proponeva come mediatore anche per la ripresa dei negoziati fra gli Usa e l’Iran sul nucleare iraniano, senza che nessuno gli desse retta. Russia e Iran sono legati dal gennaio di quest’anno, da un Trattato di “partnership strategica” della durata di vent’anni. La Russia si è affrettata a precisare che esso non prevede alcuna clausola di mutua difesa militare. È una prova ulteriore che Putin non intende immischiarsi nel conflitto, anche se la sconfitta dell’Iran – che sostiene la Russia in Ucraina – costituirà uno scacco per Mosca, ancora più grave di quello subito in Siria.
Analoga alla reazione russa è stata quella cinese. Anche Pechino, pur condannando l’attacco israeliano con termini molto pesanti, si è “chiamata fuori”, pur essendo legata all’Iran da accordi economici molto importanti nel settore energetico. Teheran ha con Pechino un accordo quarantennale di fornitura di petrolio e di Lng.
In sostanza, il pericolo di estensione del conflitto e l’”escalation” a una guerra mondiale non riguarda né Russia né Cina. Pertanto, pur potendo aumentare d’intensità, il conflitto fra Israele e l’Iran rimarrà regionale. Potrebbe però coinvolgere altri attori. Importante è esaminare i possibili scenari. Essi sono connessi, in primo luogo, agli obiettivi di Netanyahu. In secondo luogo alla scelta del momento dell’inizio dell’attacco israeliano e, infine, ai risultati che Israele potrà conseguire con le forze a disposizione.
La distruzione delle capacità militari della Repubblica degli Ayatollah era da tempo considerata essenziale per la sopravvivenza di Israele. Teheran prevedeva nella propria Costituzione l’eliminazione di Israele (oltre che la conquista di La Mecca e Medina). Il timore che si procurasse armi nucleari era comune fra Israele e l’Arabia Saudita. L’eliminazione del pericolo iraniano era da tempo considerato necessario per la stabilità politica del Medio Oriente. Questa è la ragione di fondo dell’attacco israeliano. Resta da domandarsi perché proprio ora.
Le ragioni sono multiple.
1) Il prestigio di Israele sulla scena internazionale è rapidamente caduto per le stragi di Gaza; 2) la minaccia degli Hezbollah e della Siria erano pressoché scomparse; parte delle forze israeliane erano disponibili; l’economia non consentiva la mobilitazione permanente dell’Idf; 3) il rapporto dell’Iaea che prevedeva che l’Iran disponesse entro poche settimane di un’arma nucleare giustificava un attacco preventivo israeliano contro tale mortale minaccia; 4) Netanyahu era particolarmente preoccupato dei negoziati fra gli Usa e l’Iran. Non solo per i ritardi che subivano, dato che l’Iran aveva adottato la strategia dilatoria di Putin, perché era persuaso che la loro conclusione non impedisse all’Iran di costruire la “bomba”. Non è escluso che lo stesso Trump abbia sollecitato l’attacco israeliano, essendo consapevole del pericolo di fare un’altra brutta figura e che, comunque, il ridimensionamento dell’Iran aiutava la sua visione geopolitica del Medio Oriente. Per questo non si è dissociato dall’attacco israeliano, di cui ha invece elogiato la strategia adottata, ribadendo anche che gli Usa sarebbero pesantemente intervenuti qualora fossero state attaccate le loro basi in Medioriente.
Netanyahu ha cercato di approfittare della situazione di debolezza in cui versa il regime degli Ayatollah. Nell’appello rivolto al popolo iraniano ha ricordato l’amicizia tradizionale tra gli ebrei e i persiani, affermando – come fanno di solito tutti gli aggressori – di volerlo liberare dagli attuali tiranni. Indubbiamente è preoccupato che l’attacco provochi una forte reazione patriottica in Iran – che è uno Stato nazionale, non uno tribale, come quasi tutti i Paesi islamici. Nel suo discorso televisivo ha fatto riferimento, in particolare, a Ciro il Grande, fondatore del grande impero achemenide/persiano, che aveva liberato gli ebrei dalla schiavitù di Babilonia e che aveva permesso la libertà di religione. I resti in argilla del decreto imperiale che sancisce tale libertà, custoditi in un monumento a New York davanti al palazzo delle Nazioni Unite nel c.d. “cilindro di Ciro”, sono considerati il documento più antico relativo ai diritti umani.