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Le nuove sanzioni faranno male a Mosca, ma non sarà sopraffatta. Report Csis

L’economia dell’ex Urss è ormai ben lontana dai fasti di un tempo. Ora è tutto più precario, friabile e la nuova stretta di Bruxelles non farà che aumentare questa sensazione. Ma il colpo di grazia ancora non è arrivato

Le sette vite dell’economia russa. Prima la grande rincorsa, sull’onda delle vendita di gas e petrolio al grosso della parte industrializzata del mondo. Poi, l’invasione dell’Ucraina, le sanzioni, la fine del grande sogno e l’inizio dei problemi, quelli veri: inflazione, tassi alle stelle, prezzi fuori controllo e un’economia di plastica, dopata dalla produzione di armamenti. Ma nulla più. Adesso, cronaca di questi giorni, sull’ex Urss si è abbattuta ancora una volta la mannaia dell’Europa con il 18esimo pacchetto di sanzioni.

Bruxelles ha chiesto agli Stati membri di non servirsi più delle infrastrutture energetiche della Russia, tra cui i gasdotti Nord Stream I e II, e di abbassare l’attuale tetto al prezzo del greggio da 60 a 45 dollari al barile. Alla stretta sull’energia si aggiunge, poi, quella sul sistema bancario, anche nei confronti degli istituti di credito non russi che effettuano scambi commerciali con Mosca, soprattutto nella vendita del petrolio. Un doppio attacco che per la Commissione dovrebbe costringere Vladimir Putin a trattare con Volodymyr Zelensky.

Ora, una domanda sorge spontanea: quanto ancora potrà reggere l’economia russa? Se lo sono chiesti gli analisti del Center for strategic and international studies (Csis). “L’economia russa ha vissuto molte vite dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina. Dopo lo shock iniziale dell’invasione, il Paese ha registrato un picco grazie alle entrate storiche degli idrocarburi e all’impennata della spesa militare del governo. Tuttavia, l’economia sembra ora essere entrata nella fase post-sbornia”.

Ora, il punto sono “le attuali sfide alla stabilità macroeconomica russa derivanti, o esacerbate, dalla guerra, dalle sanzioni e dalle crescenti spese militari. Tra queste figurano una grave carenza di manodopera, l’inflazione e un recente rallentamento della crescita. Senza considerare i principali colli di bottiglia futuri che potrebbero rappresentare minacce significative per la strategia di adattamento della Russia, come l’incertezza delle entrate petrolifere, una riduzione delle partite correnti, un’eccessiva dipendenza economica dalla Cina e una potenziale crisi del credito”.

Ed ecco lo scenario principale, quello che poi si è avverato, vale a dire nuove e ulteriori sanzioni. “Le entrate russe si contrarranno ancora, costringendo a ulteriori compromessi nell’allocazione della spesa e potenzialmente rafforzando la posizione dell’Ucraina sia sul campo di battaglia che al tavolo delle trattative. La posizione economica interna della Russia rimarrà limitata, ma non sopraffatta. In questo contesto, è improbabile che il Cremlino, pur desiderando la revoca delle sanzioni, faccia importanti concessioni all’Ucraina e ai suoi partner al tavolo dei negoziati, basandosi esclusivamente su considerazioni economiche”, si legge nel rapporto. Tradotto, un altro passo verso il knock out. Ma non ancora knock out.


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