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Rutte, Roma e il risveglio della Nato. L’Europa tra spese militari e minacce ibride secondo Minuto Rizzo

Sarà fondamentale per l’opinione pubblica ricordare che non si comprano solo cannoni, ma quando si parla di sicurezza ci si riferisce a un concetto molto più ampio che in passato, toccando la disinformazione o forme di guerra ibrida come i black out elettrici. Conversazione con l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, già consigliere del ministro della Difesa Andreatta e attualmente presidente della Nato College Foundation

Sarà importante per il futuro della Nato e del suo pilastro europeo, dove spicca il ruolo dell’Italia, osserva a Formiche.net l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, spiegarne ai cittadini anche la visione e il raggio d’azione, non solo la decisione di aumentare il budget per mezzi e uomini. Secondo l’esperto diplomatico, già consigliere del ministro della Difesa Andreatta e attualmente presidente della Nato College Foundation, sarà fondamentale per l’opinione pubblica ricordare che non si comprano solo cannoni, ma quando si parla di sicurezza ci si riferisce a un concetto molto più ampio che in passato, toccando la disinformazione o forme di guerra ibrida come i black out elettrici. “La gente effettivamente è ancora legata al concetto del soldato in divisa, ma noi non viviamo più in quel tipo di società”. Nel mezzo il rafforzamento della potenza russa e gli appuntamenti Nato, come la visita a Roma del segretario generale atteso domani a Palazzo Chigi e il vertice dell’Aia di fine giugno.

Cosa chiederà Mark Rutte a Giorgia Meloni?

Nel discorso che ha tenuto ieri a Chatham House, Rutte è stato chiarissimo nella sua impostazione: siamo in un momento di emergenza, ha detto a Londra e ribadirà a Roma, nel senso che fino ad ora noi europei non abbiamo preso abbastanza sul serio i segnali che ci arrivano. La Russia sta aumentando enormemente la sua produzione di armamenti e Rutte ha citato anche dei casi specifici. Per cui se la Russia avrà una tale potenza militare, potrebbe essere tentata di usarla verso i Paesi vicini: Rutte non parla dell’Italia o della Spagna, però fa capire che vanno attenzionati i Paesi baltici e la Romania, insomma la parte debole.

Questa la ragione dell’urgenza?

Al pubblico generalista tutto ciò potrebbe sembrare esagerato, ma in verità parlando Rutte al telefono ogni giorno con Trump, il presidente americano ripete che si aspetta una mossa in più da parte nostra. Per cui da una parte Rutte richiama l’attenzione su una Russia sempre più forte e dall’altra occorre stare attenti, perché la sua produzione militare aumenta in una maniera smisurata ed essendo un’economia di guerra, la tentazione di Putin è quella di usarla perché riconvertirla a un’economia di pace è complicato dal punto di vista sociale.

Non dimentichiamo la Cina…

Non se ne parla ma Pechino aumenta le testate nucleari. Per cui il discorso di Rutte è lineare ed è fatto per evitare il distacco degli americani. Tra l’altro ha ribadito che il ministro della difesa americano in occasione dell’ultima riunione dei ministri della difesa ha chiesto agli altri interlocutori se si fossero stancati di aiutare l’Ucraina. Quindi effettivamente dovremo aumentare le spese ma non in maniera tale da dover chiudere gli ospedali, come leggo talvolta, ci mancherebbe.

Dove il discorso di Rutte appare un po’ debole?

Nel convincere l’opinione pubblica dei nostri Paesi: lui parla giustamente ad un’élite, ma spesso chi legge non è un uomo di Stato ma ci sono anche tabaccai, studenti, pensionati, lavoratori a cui va veicolata la strategia alla base delle nuove scelte. Ovvero l’accordo sull’Indo Pacifico, il terrorismo internazionale, il futuro della Nato, il Medio Oriente, le ripercussioni sui singoli Paesi. Occorre ampliare il discorso relativo alla difesa, perché non si riduca solo a più carri armati o a più uomini, bensì va spiegato al meglio che esiste una minaccia russa impellente e che dobbiamo convincere i Parlamenti a votare delle spese che vanno giustificate, anche perché i 32 Paesi non hanno tutti la stessa percezione della minaccia. Bisogna lavorare su questo aspetto, in considerazione del fatto che il portato del passato è oggettivo: c’è una Nato che si fortifica, una Nato che spende di più, una Nato che si risveglia dopo la guerra fredda, ma non solo.

Cosa vuole la Nato di domani?

Vuole avere un posto nel mondo per la sicurezza, per lo sviluppo anche del commercio, della civiltà, per l’unione tra i popoli: cerca un senso un po’ più largo.

Il ministro Crosetto giorni fa ha fatto un ragionamento di numeri e di strategia: ha escluso di arrivare al 5%, ha detto che più realistica è la soglia del 3 e mezzo. Ma al di là dei numeri, secondo lei come si chiude il cerchio analitico su questo dibattito?

Per semplificare il dibattito è stato messo l’accento, soprattutto da parte americana, sul dato quantitativo ma bisognerebbe sottolineare a cosa servono quei denari perché anche il 5% è diviso in due, tra mezzi e infrastrutture. Oggi siamo tutti consapevoli che difesa e sicurezza non sono più identificati con un soldato con un fucile in mano. C’è il cambiamento climatico, la salute, la resilienza delle popolazioni, la disinformazione, le fake news, il tentativo di dividere il mondo, molti aspetti interconnessi alla sicurezza. Lo abbiamo visto in Spagna 15 giorni fa: un Paese completamente bloccato e senza elettricità per un giorno e non sappiamo il perché. Questi sono elementi importantissimi per la sicurezza quindi credo sia fondamentale per l’opinione pubblica spiegare che non si comprano solo cannoni, ma quando parliamo di sicurezza ci riferiamo ad un concetto molto più ampio che in passato. La gente effettivamente è ancora legata al concetto del soldato in divisa, ma noi non siamo più in quel tipo di società.

Come costruire il pilastro europeo dell’alleanza e quale il ruolo dell’Italia?

Si costruisce avendo una voce maggiore in capitolo: naturalmente chi spende di più e chi partecipa di più è favorito, e noi spesso tendiamo a lasciar parlare gli americani. In realtà io credo che anche noi dobbiamo sostenere il contributo italiano nella difesa e nella sicurezza. Infatti abbiamo sempre partecipato a tutte le operazioni di Ue, Nazioni Unite o Nato. Quindi non dobbiamo vergognarci di nulla perché non è vero che non abbiamo fatto niente. Anzi. Ho un ricordo personale quando ero consigliere diplomatico del ministro della Difesa Andreatta: un giorno venne da noi il generale Clark, che all’epoca era il comandante supremo delle forze alleate in Europa. Io ero presente al colloquio e disse al ministro che lui avrebbe avuto piacere, anche per tranquillizzare il Congresso e la Casa Bianca, se l’Italia avesse mandato in Bosnia una unità di carabinieri che servissero come forza di antiterrorismo e anche per operazioni di rastrellamento contro i criminali di guerra. Noi lo facemmo e fu un grandissimo successo. In tutte le operazioni successive, compresa Kabul, i carabinieri sono sempre stati chiamati a partecipare, quindi non siamo stati alla finestra a guardare. Non l’abbiamo pubblicizzato a sufficienza, magari, ma abbiamo partecipato a tutto quindi l’Italia si può presentare con un certo orgoglio per il lavoro svolto.

Quali sono le aspettative del vertice dell’Aia?

Spero di non sbagliare, ma verrà presentato come un successo nel senso che io non capisco perché gli americani dovrebbero rinunciare a una posizione di potere, come hanno in realtà, tant’è vero che per esempio, il prossimo supremo Commander in Europa sarà americano. Lo ha confermato Rutte ieri. Certamente occorrerà spiegare per bene la ratio dell’aumento delle spese, che si svolgerà in 5/7 anni. Per una nazione ad alto debito come la nostra è ragionevole andare in quel senso. Abbiamo sempre fatto il nostro dovere in passato, per cui lo faremo sicuramente altrettanto bene in futuro. Inoltre, bisognerà dare una visione strategica del ruolo della Nato come security provider a 360 gradi: ovvero un qualcuno che non ci debba difendere solo dalla Russia ma anche dalle minacce ibride provenienti da altre parti del mondo. Ciò attraverso uno strumento strategico importantissimo come l’interoperabilità tra 32 Forze armate. In questo senso assume una maggiore rilevanza il collegamento Nato-Ue, molto più facile di quello che sembra.


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