Il capo della diplomazia cinese Wang Yi in Europa, segni di disgelo tra Pechino e Bruxelles? Le divisioni restano, le sfide pure: mentre Trump si avvicina a un accordo, la narrazione strategica cinese lavora per modellare il pensiero degli europei
Il ministro degli Esteri cinese, il capo della diplomazia del Partito/Stato Wang Yi, sarà in Europa da domani, lunedì 30 giugno, al 6 luglio per un tour diplomatico che toccherà Bruxelles, Berlino e Parigi. In programma, il 13° round del dialogo strategico di alto livello Cina-Ue, l’ottavo round del dialogo Cina-Germania su diplomazia e sicurezza, e una nuova sessione del meccanismo di scambio ad alto livello tra Cina e Francia. Un’agenda fitta, che segna una nuova fase di interlocuzione con il blocco europeo.
Secondo fonti diplomatiche, è sul tavolo l’ipotesi di un allentamento delle sanzioni incrociate imposte nel 2021, che avevano bloccato i canali di dialogo tra la Cina e il Parlamento europeo. L’eventualità di un disgelo concreto – “impensabile lo scorso anno”, osserva una fonte – rispecchia un momento di transizione per l’Unione: tra la tentazione del riavvicinamento tattico e la persistenza di divergenze strutturali, mentre l’asse transatlantico è sottoposto a stress test continui dall’imprevedibilità di Donald Trump. Il tentativo di agganciare gli europei ha avuto accelerazioni negli ultimi sei mesi proprio seguendo queste dinamiche, spiega un’altra fonte dai corridoi Ue, evidenziando che i contatti di vario genere si sono moltiplicati anche con i singoli europarlamentari.
La posizione ufficiale di Pechino è stata articolata attraverso i media statali. Il Global Times, voce autorevole con cui il Partito comunista cinese diffonde la narrazione strategica in inglese, sintetizza così la postura della Repubblica Popolare: “Con l’aumento dell’ulilateralismo e del protezionismo, è necessario che la Cina e l’Ue rafforzino la comunicazione, proteggano il multilateralismo e agiscano fermamente come ancoraggi di stabilità e forze costruttive in un mondo volatile”. Il messaggio è chiaro e base dell’attuale operazione diplomatica cinese: Pechino intende proiettarsi come attore razionale, cooperativo e multilaterale, in contrapposizione alla polarizzazione globale — che per la Cina è colpa degli Stati Uniti.
A rafforzare il messaggio interviene (adesso anche esplicitamente) la diplomazia più assertiva. L’ambasciatore cinese nel Regno Unito, Zheng Zeguang – figura emblematica della linea “Wolf Warrior” – ha rilanciato le parole chiave pronunciate da Wang Yi durante l’incontro del 25 giugno con gli ambasciatori Ue a Pechino: rispetto reciproco, rifiuto della logica di rivalità, difesa del multilateralismo. Una triangolazione comunicativa coerente, destinata a influenzare tanto l’opinione pubblica quanto i decisori europei.
Probabilmente non per caso, è un diplomatico accreditato presso un Paese ormai fuori dall’Ue – il Regno Unito – a guidare il rilancio pubblico del messaggio cinese verso Bruxelles. Una scelta che conferma la flessibilità strategica di Pechino e, al tempo stesso, suggerisce una lettura indiretta: la Cina continua a vedere Londra come un canale utile per modulare la comunicazione verso l’Occidente, anche in ottica intraeuropea. Di più: la voce di Zheng suggerisce che fuori dall’Unione può esserci maggiore lucidità,‘perché si evita il ragionamento per blocchi — che Pechino critica costantemente anche perché nell’ approccio bilaterale può utilizzare più peso con i singoli Paesi europei.
Dall’altra parte del tavolo, l’Europa appare indecisa. Se l’ala più pragmatica dei governi continentali è favorevole a un rilancio selettivo del dialogo, una parte significativa dell’apparato europeo – Commissione soprattutto e varie parti del Parlamento – continua a percepire la Cina come una sfida sistemica.
Nel caso tedesco, la competizione cinese colpisce al cuore il modello industriale nazionale. La progressiva erosione della capacità competitiva nei settori chiave – automotive, green tech, semiconduttori – viene letta come un attacco diretto alla sostenibilità economica del Paese. Qui sono le collettività interne che, anche modellate dalle attività della narrazione strategica cinese, non vedono negativamente le distensioni. A Bruxelles, il confronto con Pechino è ormai incardinato in una logica più ampia: quella della sicurezza, della resilienza e della sovranità strategica europea.
A rendere tangibile il divario tra retorica e realtà sono i numeri. Secondo Eurostat, nei primi quattro mesi del 2025 il disavanzo commerciale dell’Ue nei confronti della Cina ha raggiunto in media i 970 milioni di euro al giorno. Il deficit, espresso come percentuale degli scambi bilaterali, è passato dal 28% del 2013 al 47% stimato per il 2025. Si tratta di uno squilibrio strutturale, che alimenta pressioni politiche per introdurre misure difensive: dallo screening sugli investimenti alle indagini anti-sussidi, fino alla revisione delle catene del valore strategiche.
Il contesto globale impone comunque un ulteriore elemento di riflessione. Mentre Wang Yi visita l’Europa, Washington e Pechino stanno tentando un nuovo riequilibrio. Donald Trump ha parlato di un accordo già firmato con la Cina per “mettere fine alla guerra commerciale”, salvo poi precisare che si tratta di un’intesa di principio sul quadro di attuazione delle dinamiche negoziali di Ginevra.
Tuttavia ci sono movimenti concreti: secondo l’Asia Nikkei, la Casa Bianca starebbe preparando una visita ufficiale di Trump in Cina entro la fine dell’anno, con il presidente che sarebbe accompagnato da una delegazione di imprenditori americani a dare sostanza business alla sua presenza politica. Dietro questo riavvicinamento si muove uno scontro interno all’amministrazione tra il segretario al Tesoro Scott Bessent, fautore di un “grande riequilibrio” pragmatico con la Cina, che starebbe avendo il sopravvento sul segretario di Stato Marco Rubio, tra i principali sostenitori della linea dura.
Per l’Europa, il messaggio è chiaro: Washington e Pechino si parlano. E se Bruxelles non definisce una propria strategia autonoma, rischia di ritrovarsi spettatrice passiva di un nuovo equilibrio sino-americano che si sta già costruendo. Come ricordava il professore Enrico Fardella, il rischio è che una volta trovato l’accordo con gli Usa, la Cina riversi in Europa la sua sovrapproduzione — visto anche la prospettiva di un limitato, se non nullo, rialzo dei consumi interni. Questo creerebbe un ulteriore sbilancio commerciale a cui Bruxelles rischia di aprire la strada se non gestisce la relazione con Pechino.