Skip to main content

Tra Usa e Cina c’è anche l’Iran. Cosa raccontano le ultime sanzioni contro Teheran

L’aiuto cinese all’Iran mina le volontà strategiche americane, che però passano anche da un qualche genere di intesa commerciale con Pechino. La compartimentazione può aiutare nel raggiungimento di equilibri di breve e medio termine mentre le nuove sanzioni cercano di bloccare i collegamenti che finanziano Teheran via Pechino

Tre giorni fa, senza eccessivo clamore, il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni a oltre 30 individui ed entità coinvolte in un complesso schema di riciclaggio di miliardi di dollari, orchestrato per aggirare le sanzioni imposte all’Iran. Al centro della rete vi sono i fratelli iraniani Mansour, Nasser e Fazlolah Zarringhalam, che hanno utilizzato case di cambio iraniane e società di facciata, principalmente in Cina continentale, Hong Kong ed Emirati Arabi Uniti (Uae), per occultare transazioni finanziarie legate alla vendita di petrolio e al finanziamento dei programmi missilistici iraniani.

Questo genere di attività è costante. Washington traccia continuamente tali incroci, perché permettono la sopravvivenza economica iraniana e la possibilità di accedere a fondi e tecnologie da cui a Repubblica islamica teoricamente dovrebbe essere tagliata fuori per effetto delle sanzioni contro il programma nucleare di Teheran, reintegrate durante il primo mandato di Donald Trump e confermate dalla successiva amministrazione Biden. Analizzarle serve a comprendere come parallelamente ai talks con l’Iran riavviati in primavera, al dialogo con la Cina confermato anche nella recente telefonata tra leader e alla super-partnership con Abu Dhabi, Washington preservi interessi tramite linee di azione aggressiva.

Ciò che ne esce in questo caso (che non è e non sarà isolato) è un sistema strutturato che vede la Cina come nodo cruciale, centro di un flusso operativo che parte da un’attività commerciale iraniana sanzionata, la quale avvia una richiesta di compravendita attraverso una casa di cambio iraniana. Questa, a sua volta, si collega a un’altra casa di cambio che controlla conti bancari esteri, appoggiata presso banche cinesi. Il sistema si completa con una società di facciata (front company) basata a Hong Kong, dove risiedono diverse delle giurisdizioni usate per facilitare transazioni con acquirenti o venditori stranieri, bypassando i controlli di screening delle sanzioni attraverso canali bancari tradizionali.

La struttura delle entità coinvolte mostra una rete base di carattere familiare. I fratelli Zarringhalam occupano ruoli chiave: Mansour come chairman, Nasser come Ceo e Fazlolah come figura di riferimento di diverse exchange company. La rete si estende a società che operano come intermediari, utilizzando tutte la Cina come hub per mascherare i flussi finanziari. Le sanzioni in definitiva colpiscono uno dei sistemi di “shadow banking” che sfrutta la Cina come fulcro logistico e finanziario, con Hong Kong (e in parte gli Emirati) come punti di transito.

La questione dell’assistenza iraniana da parte di entità cinesi emerge come un tema secondario ma significativo nelle complessità Usa-Cina. Nel racconto della recente telefonata tra Donald Trump e Xi Jinping del 3 giugno 2025, volta a rinegoziare la tregua commerciale, viene esplicitamente detto che la questione “Iran” (così come altre di carattere più geopolitico) non è stata affrontata. La tematica è infatti piuttosto delicata.

Queste sanzioni americane riflettono un’azione mirata per interrompere il sostegno cinese ai programmi balistici iraniani. Più in generale, la dipendenza dell’Iran dalla Cina per condurre attività che bypassano le sanzioni, come evidenziato dalle società di facciata, sottolinea una complicità che gli Usa intendono erodere (proprio con le sanzioni). Allargando ancora l’ottica, la strategia della “massima pressione” trumpiana avrebbe avuto come scopo l’indebolimento di Teheran per poi convincerlo a un negoziato, ma l’aiuto cinese e russo ha permesso alla Repubblica islamica di alleviare gli effetti della panoplia sanzionatoria statunitense. E dunque, quell’aiuto mina le volontà strategiche americane — che però passano anche da un qualche genere di intesa commerciale con Pechino. La compartimentazione può aiutare nel raggiungimento di equilibri di breve e medio termine.


×

Iscriviti alla newsletter