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A Glasgow il terzo centro islamico collegato a Teheran

La scoperta che un terzo centro islamico di Glasgow sia stato collegato al regime iraniano solleva nuove preoccupazioni sulla presenza di Teheran nel Regno Unito, con particolare attenzione sulla conduzione delle politiche di integrazione e inclusione come strumenti di sicurezza nazionale

Un nuovo caso – il terzo – scuote la Scozia sul fronte della sicurezza e delle ingerenze straniere. The Ark, un centro multifunzionale di media, beneficenza e imprese musulmane situato a Govanhill, Glasgow, è stato identificato come seggio elettorale ufficiale della Repubblica islamica dell’Iran durante le elezioni presidenziali del 2024, comprese le votazioni di giugno e il ballottaggio di luglio. La struttura, che ospita anche il Consiglio musulmano di Scozia, organizzazione consultiva riconosciuta dal governo locale, sarebbe stata utilizzata, secondo documenti visionati dal Times, per consentire ai cittadini iraniani residenti nel Regno Unito di votare in spazi decorati con bandiere del regime. L’ambasciata iraniana a Londra avrebbe confermato questa funzione, promuovendo la raccolta dei voti per i compatrioti anche tramite canali social in lingua persiana.

I precedenti

La vicenda segue altre rivelazioni sui legami tra istituzioni scozzesi e Teheran. Come riportato dal Sunday Times, la Ahl al-Bait Society Scotland, beneficiaria di oltre 400mila sterline di fondi pubblici, aveva ospitato una veglia commemorativa per l’ex presidente iraniano Ebrahim Raisi, accusato di avere ordinato migliaia di esecuzioni di oppositori politici. Un altro caso riguarda il Centro islamico Al-Mahdi, anch’esso a Glasgow e destinatario di sovvenzioni governative per 372mila sterline, il quale ha esposto pubblicamente la bandiera della Repubblica islamica e immagini dell’Ayatollah Khomeini, autore della condanna a morte di Salman Rushdie. Dissidenti in esilio hanno descritto Al-Mahdi come consolato non ufficiale di Teheran in Scozia, già utilizzato come seggio durante le elezioni presidenziali del 2021. Secondo esponenti politici britannici, questi centri culturali agirebbero come avamposti informali di Teheran, fornendo supporto logistico e simbolico alla Repubblica islamica.

La risposta di Westminster

Il tema si inserisce in un quadro più ampio di minacce alla sicurezza nazionale. Un recente rapporto della commissione parlamentare britannica per l’intelligence e la sicurezza ha equiparato il rischio posto dall’Iran a quello della Russia. Secondo Londra, agenti iraniani sono impegnati in operazioni di spionaggio, intimidazione, cyberattacchi e perfino piani di assassinio e rapimento di dissidenti residenti nel Regno Unito. Teheran, oltre a rappresentare il principale sponsor statale del terrorismo, avrebbe intensificato le proprie attività d’influenza attraverso reti culturali ed educative allineate al regime. A Londra, i servizi di sicurezza temono che i centri culturali ed educativi iraniani nel Regno Unito possano servire da piattaforme per la radicalizzazione, la promozione di ideologie estremiste e attività di spionaggio. Una recente nota della commissione parlamentare ha invitato il governo a non sottovalutare tali minacce, chiedendo “azioni specifiche e tempestive” per contrastare eventuali infiltrazioni tra la diaspora iraniana.

Inclusione, integrazione e sicurezza nazionale

L’affaire solleva interrogativi più ampi sulla vulnerabilità delle democrazie occidentali alle operazioni di soft power e infiltrazione politica da parte di regimi autoritari ed un utilizzo strumentale dei centri religiosi – e delle loro attività dentro e fuori le proprie sedi – come copertura per attività malevole. Queste vicende evidenziano una sfida complessa: proteggere la libertà religiosa e il pluralismo senza offrire spazi a influenze esterne potenzialmente ostili.

Il Regno Unito prevede la compresenza sociale e giuridica delle differenze culturali ed etniche: la coesistenza di tribunali rabbinici, corti sciaraitiche e corti nazionali, ad esempio, sottolineano la volontà di riconoscere e valorizzare il pluralismo identitario, religioso e culturale. Il pluralismo giuridico britannico, che vede comunque il prevalere delle corti di common law nazionali per tutto ciò che concerne le decisioni vincolanti, rappresenta il tentativo delle istituzioni politiche e giuridiche inglesi di dare risposte specifiche alle esigenze delle minoranze, valorizzandone le differenze tramite percorsi di dialogo giuridico e sociale, con l’obiettivo di includere la diversità e l’alterità, dalla dimensione della cittadinanza a quella della rappresentanza politica.

La rilevanza delle politiche di inclusione ed integrazione poggia su una duplice esigenza: da una parte la necessità di disporre di una società unitaria e coesa, nonostante le diversità culturali, religiose e sociali; dall’altra, la prevenzione delle conseguenze che l’esclusione e l’emarginazione sociale possono produrre. Spesso, infatti, il sense of non belonging – ovvero il mancato inserimento effettivo dei migranti all’interno delle dinamiche sociali – ha causato in questi un doppio senso di spaesamento, dovuto alla non appartenenza alla terra di partenza e alla non integrazione nel Paese di arrivo, facilitando lo sviluppo di fenomeni di devianza come il radicalismo, l’estremismo religioso o la delinquenza tout court.

La mancata integrazione effettiva nel tessuto sociale favorisce infatti l’attecchimento di ideologie radicali ed estremiste, affidando agli Stati il compito di promuovere la propria presenza anche all’interno dei diversi centri religiosi e politici per la messa in pratica delle necessarie attività di Pve e Cve (Preventing violent extremism & Countering violent extremism) e per la prevenzione dei possibili fattori di esclusione sociale, spesso principali triggering factors per l’adozione di condotte o ideologie devianti e di potenziale pericolo alla sicurezza nazionale.


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